La "tempesta perfetta" per l'auto elettrica: cosa può succedere

L'auto elettrica è fonte di una rivoluzione industriale che senza programmazione può travolgere un comparto consolidato.

La "tempesta perfetta" per l'auto elettrica: cosa può succedere

Associare l'auto elettrica a una piattaforma industriale paragonabile a quella delle macchine tradizionali è un errore concettuale che non va compiuto se si vuole comprendere fino in fondo la natura trasformativa di questo settore produttivo.

L'auto elettrica si preannuncia destinata ad essere una rivoluzione industriale nel campo della produzione dei veicoli, con una sua catena del valore ad hoc e una diversa distribuzione delle quote pregiate che premierà, sempre di più, la parte software a discapito di quella hardware. A generare valore (e costi per gli utenti) delle auto elettriche sono infatti tutti i sistemi elettronici che vanno dalla batteria in sé al complesso sistema di controllo degli algoritmi che regolano gestione energetica, sistemi di guida e sfruttamento dei dati. Ma il settore, oggigiorno, è frenato da alcune prospettive limitanti di matrice strutturale che suscitano dubbi sul suo futuro e, soprattutto, sulla capacità di alcuni mercati, come quello dell'Unione Europea, di mettere al bando i motori a scoppio entro il 2035.

Un'economia prospera, a bassa demografia e alta stabilità come quella della Norvegia può permettersi di puntare con tranquillità al 100% elettrico entro il 2030 (è già al 50% del totale), ma oggigiorno sulla crescita del mercato dell'auto elettrica aleggiano non pochi fattori di criticità.

Il primo lo abbiamo sotto gli occhi da mesi, inopinatamente sottovalutato a inizio 2021 dai decisori politici ed economici: la crisi dei chip. La tempesta perfetta sui semiconduttori sta causando danni stimati all'economia globale per 210 miliardi di dollari e mettendo alle corde il settore dell'auto, elettrica e non: come sottolinea Ondrej Burkacky, analista di McKinsey & Company interpellato da Reuters, "il conto verrà presentato a metà o fine 2022, quando si capirà chi ha superato bene la crisi e chi no", e lo tsunami può colpire anche l'auto elettrica.

Come ha ricordato Affari&Finanza, supplemento economico di Repubblica, "in ogni singola vettura sono presenti normalmente circa 1.000-1.500 microhip, che diventano 3mila nei modelli più sofisticati" e non saranno mai meno di 2mila in nessuna auto elettrica. Inoltre generalmente "nelle auto elettriche c'è bisogno di una quantità ancora maggiore di componenti elettronici", quindi la domanda per l'industria automobilistica è destinata a salire notevolmente, "aggravando così il problema anche qualora la produzione di componenti elettronici dovesse tornare rapidamente ai livelli normali".

Vi è poi da tenere in considerazione la matrice sistemica del cambiamento industriale che una svolta netta e decisa sull'auto elettrica potrebbe imporre. Diverse aziende legate alla filiera del settore automobilistico e dei trasporti, soprattutto nella componentistica, rischierebbero di trovarsi fuori mercato dato che l’auto elettrica si preannuncia una grande fonte di cambiamento per l’intera catena del valore, che come detto sarà sempre più spostata sull’immateriale, sui software che guideranno i dispositivi, consentiranno lo scambio di informazioni e gestiranno i trend di consumo e le batterie, piuttosto che sulla parte “hard” del veicolo. E questo porterà a un deterioramento di diversi comparti legati alla meccanica di precisione e alla componentistica, a favore dei gestori e dei produttori dei Charging Point Operator che gestiscono una rete di stazioni di ricarica (di proprietà o meno) interconnesse e funzionanti attraverso piattaforme applicative. Le conseguenze in termini di posti di lavoro per diverse economie sarebbero notevoli. Come ricordato dal Corriere della Sera, in Italia il motore elettrico può essere un grande fattore di cambiamento qualora non si producessero filiere ad hoc dato che "per produrlo serve il 30% di manodopera in meno. Vuol dire che se in Italia restiamo fermi a guardare" mentre l'Ue si prepara a introdurre il limite del 2035 per l'addio al motore a combustione, "entro i prossimi quattordici anni 60 mila persone in 500 aziende perderanno il posto di lavoro".

Dunque, l'auto elettrica non va demonizzata ma neanche ritenuta una scelta senza alternative nel breve periodo: le recenti prese di posizione di Toyota sul tema permettono di capirlo al meglio.

Di fronte a una rivoluzione industriale tanto importante servirà operare una seria politica industriale, promuovere investimenti, lenire i rischi della catena del valore (fornitura di chip in testa) e soprattutto traghettare passo dopo passo la filiera della subfornitura per permettere che la transizione sia ben programmata e non si risolva in un bagno di sangue per imprese e lavoratori.

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