La transizione "verde" dell'acciaio che può difendere ambiente e industria

L'acciaio è un settore strategico. In cui bisognerà vedere il raggio di applicazione delle nuove tecnologie "verdi" all'industria

La transizione "verde" dell'acciaio che può difendere ambiente e industria

Pochi settori, a livello mediatico e comunicativo, sono associati all'idea di inquinamento e impatto ambientale come quello dell'acciaio. La siderurgia, complice la visibilità dei grandi impianti, degli altoforni e dei loro scarichi nell'atmosfera e complici casi in politico-mediatici complessi come quello dell'Ilva di Taranto, è anche in Italia al centro del dibattito sulla transizione energetica.

La lunga strada verso l'acciaio verde

Ebbene, se da un lato è vero che l'acciaio ha un impatto ambientale considerevole, dall'altro è anche necessario considerare il suo ruolo vitale e irrinunciabile per l'industria. Sintetizzabile nella massima di Oscar Sinigaglia, padre della Finsider, tanto ovvia quanto spesso colpevolmente dimenticata: "Senza acciaio non c'è industria". E l'ampio perimetro coperto dall'industria siderurgica, invertendo i termini della questione, rende questo comparto uno di quelli in cui con maggior attenzione si può osservare l'ibridazione tra politiche volte a aggiornare l'industria ai nuovi paradigmi tecnologico-produttivi e strategie volte a garantire uno sviluppo più sostenibile.

Nell'acciaio questo si sostanzia nella costruzione di un ciclo più ordinato, capace di avere l'efficienza delle fonti di alimentazione come driver del suo sviluppo in modo tale da ridurre l'impatto ambientale senza pregiudicare la produzione. Anzi, se possibile, aumentandola. L'acciaio "verde" non è affatto un'utopia, ma una scelta strategica per un settore che a livello globale tra attività dirette e indotto contribuisce un giro d’affari da 2,5 trilioni di dollari l’anno oggigiorno, secondo quanto riporta il Financial Times, e al contempo genera un quarto delle emissioni di gas serra da comparto industriale del pianeta e tra il 7 e l’8% del totale in assoluto.

Dagli altoforni di tutto il mondo escono ogni anno 2 miliardi di tonnellate di acciaio, 1,3 dei quali prodotti da fabbriche siderurgiche asiatiche ad alto o altissimo impatto ambientale, spesso dovuto all'utilizzo del carbone. Per i Paesi europei la sfida dell'efficienza ambientale si unisce a una precisa necessità strategica: in un contesto in cu le maggiori economie dell'Occidente necessitano di una nuova politica industriale che, complice il ritorno sul suolo nazionale di diverse attività strategiche in seguito alla pandemia, faccia fronte a nuove e acclarate esigenze di rifornimento, appare fondamentale fare una scelta sulle tipologie di acciai da produrre nel contesto nazionale per posizionare i nostri sistemi economici su alti e pregiati livelli della catena del valore, piuttosto che inseguire sul fattore quantitativo colossi come Cina e India.

E dato che già di per sé la via “verde” porterà con sé un aumento dei costi, appare ora più che mai fondamentale prendere la palla al balzo dedicando energie alla produzione di acciai speciali a più alto valore aggiunto, strategici per il loro utilizzo in comparti critici e molto flessibili per la loro sovrapponibilità con metalli come cromo e manganese. Questo consentirebbe di unire efficienza ed efficacia, conseguendo un più alto sviluppo tecnologico da mettere al servizio sia della produzione sia dell'abbattimento dell'impatto ambientale.

Quali tecnologie possono, in quest'ottica, essere il fattore abilitante di una siderurgia più verde? La complessità del ciclo produttivo dell'acciaio consente diverse soluzioni. Una prima suggestione è quella delle tecnologie per la cattura del biossido di carbonio che rappresenta il naturale prodotto di scarto della fusione: l'acciaio, in fin dei conti, è una lega di ferro e carbonio. Una seconda via mira a sfruttare questa tecnologia in sinergia con una tecnica di produzione basata sui forni elettrici che non standardizza sui singoli altoforni l'intero ciclo produttivo. "La tendenza globale all’adozione di produzione con forno elettrico, basato sul riciclo dei rottami ferrosi, in sostituzione del ciclo integrale in altoforno, va già in questa direzione", nota Industria Italiana, testata a cui Carlo Mapelli, docente di Meccanica del Politecnico di Milano, ha quantificato i risparmi possibili: "A fronte delle 2,5 tonnellate di anidride carbonica per tonnellata di acciaio emesse dall’altoforno – spiega Mapelli – il forno elettrico ne emette tra 0,1 e 0,2 tonnellate. A queste vanno aggiunte le 0,83 tonnellate per tonnellata di acciaio generate dell’uso del preridotto, prodotto del gas naturale, che serve a ovviare all’inquinamento metallurgico dei rottami".

Idrogeno e acciaio, un binomio possibile?

Per Mapelli, inoltre, "se al posto del gas si usasse l’idrogeno, si avrebbe una riduzione a 0,3 tonnellate emesse". E veniamo dunque al terzo e più complesso punto della questione: la prospettiva che l'inserimento dell'idrogeno nel ciclo dell'acciaio possa essere il volano per la transizione verde del settore. Nelle sue strategie di prospettiva in campo economico, ad esempio, la Germania ha negli ultimi anni promosso l’utilizzo del materiale più leggero della tavola periodica come alimentatore dei processi per la produzione dell'acciaio, contribuendo alla svolta in atto su scala globale verso una crescente sostenibilità. ThyssenKrupp ha a tal proposito allo studio dei progetti di ampio respiro in sinergia con Steag, società energetica tedesca, per fornire idrogeno alla sua strategica acciaieria di Duisburg, mentre casi simili iniziano a prendere piede anche in Italia. Ma perché la produzione di acciaio mediata dall'utilizzo dell'idrogeno nei cicli produttivi prenda piede, c'è bisogno che su questo secondo fronte le tecnologie giungano a una piena maturazione per unire efficienza ambientale e efficienza di costo: il gruppo Danieli ha stimato che supponendo l'utilizzo totale dell'idrogeno verde nel processo produttivo, il costo di trasformazione del minerale ferroso in acciaio pronto all'utilizzo sarebbe di circa 350 euro a tonnellata, otto volte quello prodotto tramite la tecnologia oggi meno impattante che utilizza il gas.

Parliamo dunque di un obiettivo di frontiera, a cui bisognerà arrivare per passaggi graduali. E sviluppando una cultura della complessità: a Duisburg nel progetto ThyssenKrupp e in Svezia, dove con il piano Hybrit di SSAB verrà alla luce la prima acciaieria completamente a idrogeno al mondo, si è strutturata una catena di approvvigionamento centrata sul territorio fondata sulla stipulazione di accordi con fornitori di energia elettrica in cui è prevista la possibilità di sfruttare fonti rinnovabili dei territori per produrre l’idrogeno in loco, con la costruzione di una filiera interconnessa.

A testimonianza di come l'acciaio potrà essere un perno industriale anche nel futuro, a patto però che attori pubblici e privati inizino a capire la necessità di ragionare in un'ottica di sistema. Perché anche nel mondo della transizione energetica senza acciaio non ci sarà industria, e dunque la siderurgia è un settore su cui intervenire con urgenza.

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