Tricolore/Che noia le sceneggiate del Carroccio

Che noia questa Lega. L’ultima è di lunedì: a Radio Padania hanno tifato contro l’Italia. Il 2 giugno i ministri non andarono (Maroni compreso, ministro dell’Interno) alla sfilata a Roma. Sempre il 2 giugno a Varese pensarono di fare una ganzata e, dagli altoparlanti pagati dagli italiani, al posto dell’inno nazionale (ministro dell’Interno presente) diffusero canzoni di Gino Paoli che, tra l’altro, è un ex parlamentare eletto nelle liste del Pci.
Quando fa queste cose, la Lega ci fa venire in mente quei ragazzini che suonano i campanelli nelle case e poi scappano. Un po’ di casino l’hanno fatto, si sono pure divertiti, nessuno li ha presi e un po’ di attenzione comunque l’hanno destata. Fino alla prossima scampanellata.
Ma a che serve tutto ciò? A risvegliare un po’ d’orgoglio leghista? A far vedere al popolo leghista che pur al governo l’anima ribelle non s’è chetata? Goliardia pura e semplice? Non si capisce. E non ci importerebbe nulla di capire, se non riguardasse anche noi perché, da stupidi, ci piace sentirci italiani anche se a governarci c’è qualcuno che coi simboli degli italiani ci gioca ai campanelli.
Vorremmo dire come l’allenatore dell’Italia, Marcello Lippi, quando l’hanno informato che Radio Padania non tifava per l’Italia: «Non me ne frega niente», ma non ci riusciamo. Perché alla fine ci sta a cuore quest’Italia prima e questo centrodestra italiano poi e che, con i problemi che deve affrontare, di tutto ha bisogno fuorché di un po’ di goliardia. Non sappiamo infatti se il popolo leghista si diverta, certamente all’altra parte di popolo questi scherzi stanno sull’anima.
E poi, se non sono scherzi, se credono davvero che vada cambiato l’inno e che la squadra nazionale italiana non abbia senso, si facciano avanti. Sono al governo, propongano. Suonino il campanello e rimangano sotto casa. Che differenza c’è tra i ministri della Lega che non vanno alla festa del 2 giugno e ciò che accadde in un infausto 2 giugno di qualche anno fa quando l’allora presidente della Camera Fausto Bertinotti, al passaggio dei militari americani, mostrò il bavero della giacca con la bandiera della pace che aveva messo al posto del tricolore? Nessuna. Si tratta sempre di qualcuno che sta nelle istituzioni e nello stesso tempo non ci sta. Gioca a rimpiattino. Fa il furbo.
Se uno è presidente della Camera, e finché decide di starci, la sua bandiera è quella tricolore ed è lì a rappresentare gli italiani, non le sue idee. Se uno è ministro del governo italiano la sua festa è quella del 2 giugno a Roma e ci deve essere, almeno finché decide di esserci. Quando decidesse che quella festa e quella nazione non gli vanno più bene può andare dove vuole e, con tutto il rispetto, scegliere anche di ascoltare Orietta Berti.
Peccato perché la Lega, diversamente da Bertinotti, è portatrice di un patrimonio politico sano, quello del federalismo, per intenderci, e di Roma ladrona, cioè di un riequilibrio del rapporto tra entrate e spese dello Stato. E anche di una difesa delle tradizioni locali di cui l’Italia è fatta. E anche di un’immigrazione regolare e regolata. Peccato appannare tutto questo con qualche furbatella da due soldi. Della Lega c’è bisogno in questo Paese, ma non di questa.
Ora, con il popolo leghista se la vedranno i leghisti stessi. Con il popolo di sinistra e dipietrista pure.

Ma c’è anche un popolo di centrodestra senza il quale la Lega al governo non ci sarebbe mai arrivata, neanche con la piena del Po. Quel popolo tifa per l’Italia, magari si commuove quando sente l’inno nazionale e vede il tricolore. Basterebbe un po’ di garbo e gentilezza, neanche grandi ragionamenti politici, che non pretendiamo.

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