Il piatto è un oggetto standard e immodificabile? Oppure il design può cambiarne la struttura-base e sbizzarrirsi per trasformarne linee e significati?
Marta Laudani e Marco Romanelli, architetti di grande estro e lunga esperienza, si pongono queste domande e rispondono positivamente nella mostra che si tiene fino al 24 ottobre alla Triennale di Milano.
S'intitola: «Modificazioni impercettibili in una tipologia immodificabile».
In un' indagine a 360 gradi sulle possibilità progettuali della cosiddetta «art de la table» emerge l'interpretazione di due dei più schivi e interessanti designers italiani. Sì, il piatto può diventare cento, mille volte diverso da quello che era.
Tra il 1997 e il 2010 Laudani e Romanelli hanno ideato sette servizi di piatti e in ognuno di essi hanno rotto il codice del passato, seguito una ricerca plastica libera e lavorato sul dettaglio.
Non si sono rassegnati, insomma, alla fedeltà alle classiche figure del cerchio e del quadrato. Hanno deformato le geometrie e sperimentato forme nuove, ispirandosi a modelli naturali o immaginando utili astrazioni.
Così è nato il «piatto-ciottolo», nel servizio «Mediterraneo» del 1998, che riproduce forme trovate in natura, come quella del sasso levigato dall'acqua. Ma anche il «piatto-pozzanghera», come quella lasciata dall'acqua piovana. O il «piatto-conchiglia», che ricorda quelle raccolte dopo la marea.
Poi c'è il «piatto-macchia», nel servizio Itaca del 2000, in cui l'isola di Ulisse diventa decorazione istintiva e primordiale.
Ancora, il piatto «Saint Tropez» del 2002 rilegge le proporzioni e la semplice forma a conca della tradizionale fondina in terraglia.
Mentre il servizio «Surface» del 2003 risponde ad una «rivoluzione silenziosa» dovuta all'evoluzione delle abitudini sociali e allunga il contenitore facendolo diventare multifunzionale, adatto ad una composizione di cibi.
Designers «anomali», come loro stessi si autodefiniscono, Laudani e Romanelli hanno poi esplorato una seconda galassia, che fissa il cerchio e il rettangolo come geometrie di base e lavora sulla decorazione.
Ci sono i «Souvenirs d'Italie» del 2010, con le decalcomanie dei monumenti che trasformano il piatto in cartolina-ricordo delle più famose città .
Del 2006 sono i segni sottili, come fili d'erba recisi, che attraversano lo sfondo bianco e ricordano i calligrafi giapponesi. Il servizio si chiama «Calligrafico». In quello battezzato «Merletto» la decorazione riproduce fiori di pizzi antichi sulla superficie lattea in un modo tale da influire sulla lettura della forma.
Bianco e nero, nero e bianco al negativo: ecco altre diverse decorazioni floreali, in rilievo e applicate a mano sul fondo,del servizio «Biarritz» del 2005.
E infine la Rose of England, tipica di tessuti e cuscini britannici, che fiorisce in un angolo del piatto di porcellana bianca in «Elizabeth» , del 2010.
L'esposizione comprende anche «grandi piatti», divenuti di moda alla fine degli anni '90, quando l' «apparecchiatura alla russa» impostasi nel Settecento comincia a subire gli influssi di Asia e Africa e ai formali pranzi «placè» si sostituiscono degustazioni, riti dell'aperitivo e dell'happy hour.
Qui trionfa la miscellanea di materiali diversi e il gioco di forme che si includono, si moltiplicano, si tagliano.
« Frori=Flower» del 2006 è un pezzo unico, con centrotavola in ceramica sagomata completata da «cestini» di rafia intrecciata, realizzato per una mostra sull'artigianato sardo.
Il vassoio in terraglia smaltata «Clara&Marcella» del 1998 è un disco grandissimo con una bordura in maglia.
E «Otto» del 2001 è un vassoio in gres composto da sei coppette: tiene insieme e separa due losanghe, è una forte astrazione del numero ma risulta alla fine molto funzionale.
«Lunatico» del 2002 scava piccoli crateri in un grande piatto da breakfast o da sushi.
«Ninfea» del 2001 è un oggetto unico e plurimo, che compone tanti cerchi in un unico cerchio. Il centrotavola contiene cinque ciotole una nell'altra o anche una accanto all'altra, nelle più diverse combinazioni.
Molto curioso anche il piatto «Nuuk» del 2001, in vetro soffiato trasparente con una base frastagliata come da mille cubetti di ghiaccio.
Scrive sul catalogo Alba Cappellieri, che ha curato la mostra con Anna Foppiano: «I maestri del design italiano non hanno inventato nulla, almeno non nei termini di innovazione radicale. La "renovatio" è una metodologia di progetto che guarda all'ordinario con occhi straordinari».
Quelli di Marta Laudani e Marco Romanelli sono davvero occhi straordinari. Curiosi, capaci di vedere oltre le forme classiche, attraverso le forme naturali, dentro le forme postmoderne. E rinnovare inventando, con discreta e sottile creatività.
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