Ci sono poeti che restano clandestini anche quando sono pubblicati. È il caso di Tito Balestra che, dopo un lungo oblio,torna in libreria grazie a La Nave di Teseo che ripropone i suoi due libri principali, Qui pro quo del 1974 ,e Se hai una montagna di neve tienila all'ombra del 1979, usciti nella prestigiosa collana di paesi Garzanti (quella, per intenderci di Pasolini, Sandro Penna, Giorgio Caproni, Attilio Bertolucci, Mario Luzi, Biagio Marin, Franco Loi). Fu letto allora da alcuni amici. Viene letto ora da alcuni amici, nonostante l'impegno dei familiari, in particolare il nipote Flaminio, per preservarne la memoria attraverso una meravigliosa e attiva Fondazione, dotata di una ricca collezione d'arte, nel Castello malatestiano di Longiano. Visitarla è un'esperienza di vita. Longiano è un paese poetico e inevitabile. Balestra ci è nato ,e ha voluto lasciare a Longiano ,e non a Roma, i dipinti dei suoi amici con i quali ha vissuto, lavorato, ha scambiato quadri, nella galleria di Tanino Chiurazzi, all'epoca romantica dell'Oca, dell'Obelisco, di Don Chisciotte ,della Giulia, del Gabbiano. Roma fioriva di gallerie e di artisti, e tutti si parlavano, e tutti si frequentavano, poeti, scrittori, pittori:Alvaro, Bartolini, Bassani, Bilenchi, Cassola, Comisso, D'Arrigo, Delfini, De Libero, De Pisis, Flaiano, Gaio Fratini, Guttuso, Leoncillo, Longanesi, Maccari, Mafai, Giuseppe Mazzullo, Omiccioli, Aldo Palazzeschi, Pannunzio, Sandro Penna, Perilli, Raimondi, Sinisgalli, Sonego, Stradone, Tallarico, Tomea, Trombadori, Ungaretti, Valsecchi, Vicari, Vivaldi. Segue, negli incontri serali, spesso conclusi in trattoria, l'andamento della galleria dell'amico. L'abbandono, da parte di Tanino, della formula della "Vetrina"(il nome evocativo della sua galleria) per la cura di vere mostre gli permette di conoscere l'opera degli artisti che vede nei loro studi, in casa di Mario Socrate o di Peppino Mazzullo, nella Trattoria Menghi in via Flaminia, da Cesaretto in via della Croce, dal Bottaro in Porto di Ripetta, da Agustarello al Testaccio: Rosai (1948), Mafai (1949), Maccari (1949), Enotrio (1950), Tomea (1951), Manzù (1951), Morandi (1951), Vespignani (1951), Vangelli (1953), Guttuso (1953); si incuriosisce del Premio 8x10 de «La Fiera Letteraria», che costituisce la collezione di Zavattini. Tanino muore nel 1967.
Balestra è con loro tutti i giorni in una vita dolce e leggera. È una vita di incontri, di battute, di parole, nella cultura italiana che si rifonda dopo il Fascismo.Balestra è amico di Alfonso Gatto e Mino Maccari. In cuor suo certamente ama pittori emotivi e rari, come De Pisis e Usellini.
Per i suoi amici scrive, e sono cartoline, biglietti, auguri, maledizioni, mai proclami, mai invettive. Balestra è un lirico tentato dalla poesia civile, ma resta sempre pre-politico ,all'opposto di Pasolini. Nessuna poesia, neanche quella di Antonio Delfini così estrema, è più esistenziale di quella di Balestra. Balestra non è mai pubblico, non è mai sociale, non è mai ufficiale. La sensazione, quando lo leggi, è che parli a te soltanto, in una privatissima corrispondenza che non dev'essere pubblica. Per questo essere pubblicato non gli appartiene. Balestra si confida, e sa di avere un complice. Lo cerca, lo coltiva, gli dice ,come per avvertirlo: «Una testa un po' vuota/ è da considerare,/ pesa di meno, è comoda,/ facile da portare e/ naviga tranquilla anche in un dito d'acqua./ Perciò non la stancare,/ curala come devi,/ se si riempie vuotala,/ scaccia nubi e pensieri».
Balestra non cerca lettori, li esclude. Si prende in giro e ti parla all'orecchio, cosciente dei suoi limiti, che possono essere i tuoi: «Giovani non si rimane,/ non è questione di pancia,/ si è giovani solo una volta/ quando non te ne accorgi./ E la ginnastica,/ il tennis il maglioncino aderente/ ti reggono solo se puoi sdraiarti su una poltrona. Dove tra un sonno e l'altro e una buona grattata/ hai la comica idea di sentirti un leone».
In molti casi sembra parlare solo a se stesso, riconoscendo le contraddizioni della vita, senza per questo lamentarsi, rimpiangere. Il suo equilibrio è assoluto. Vivere è un privilegio, è una condizione di felicità, anche quando siamo a disagio.
«La vita ti dà ragione/ ti prende a calci la vita/ senza spiegarti come/ senza chiederti scusa/ e c'è poco da dire, i calci/ non t'hanno mosso di un passo mio caro allegro testone abituato a far chiasso».
Nichilismo, esistenzialismo, socialismo, cristianesimo sono convinzioni che riguardano la condizione umana, l'umanità; non l'uomo, non lui Tito. Nessuno gli è più lontano di chi crede di avere una missione, di chi ha considerazione di se',di chi cerca il consenso: Sei una goffa scoreggia/che fa chiasso/ e trotta allegra con solennità,/ ma a riverirti c'è sempre qualcuno/ che ti somiglia e neanche lo sa».
Per sé Balestra chiede poco, chiede altro, la vita è fatta di piccole cose: «Piacere, volevo piacerti terribile ragazzina/ occhi chiari e distratti/ e gambe da capogiro,/ col broncio e pronta a ridere/ e lieta di sapere/ che il mondo è quasi tondo/ e somiglia a un sedere».
La sua vita è rimasta nei confini di Longiano, stretta e gaia, come la gioventù di Antonio Barolini. Nella provincia erano la loro felicità e il loro destino, nelle piccole proporzioni di una esistenza periferica. Scrivo di Balestra mentre visito la piccola chiesa della Santissima Trinità di Teregua in Valfurva ,dove un pittore pellegrino, Vincenzo De Barberis, ha lasciato affreschi in cui si sente la memoria cittadina di Bernardino Luini di Vincenzo Zenale, diminuita nella cifra di una lingua locale. In luoghi come questi, tutto è piccolo e grande insieme. Qui si parla di una onorata vallata dove tutto rimane intatto e decoroso. Balestra non aveva ambizioni ,non pensava a una carriera.
Lo si intende leggendo: «Come un asino/cerchi la tua strada /ostinato paziente/come un asino fatto furbo/ dai tempi dalla vita/dai pericoli corsi./ Come un asino/ lanci ragli e scoregge da una cattedra».
Balestra si capisce meglio in questi luoghi piccoli, dentro la chiesa di San Rocco a Uzza, dove ti aspettano reliquie di una civiltà poetica perché minore. Nessuno lo ha capito meglio di Tito Balestra. Un suo amico, Tonino Guerra, ha reso universale la Val Marecchia. Come Valfurva, dove sono, è una valle del cuore. Ed è raro trovare poeti che ne conservino la dimensione con una poesia senza intenzioni, senza ambizioni. Ho ricordato Tonino Guerra.
Quando andai da lui la prima volta, a San Arcangelo di Romagna, lessi, davanti alla sua porta, scritti con un gessetto, versi che potevano essere di Tito Balestra ,nella forza del paradosso amoroso: «Cara, tu dici che ami i fiori e gli tagli i gambi./ Cara tu dici che ami i pesci e te li mangi./ Cara, quando dici che mi ami, ho paura».
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