Tutta la violenza della nostra "Voglia"

Elfriede Jelinek è nata a Mürzzuschlag, in Austria, il 20 ottobre 1946. È cresciuta a Vienna, dove si è diplomata in organo al Conservatorio. Nel 2004 le è stato conferito il Nobel per la Letteratura

Tutta la violenza della nostra "Voglia"

La voglia di Elfriede Jelinek è un libro di una violenza sconcertante. Va subito detto, perché, con quel Nudo femminile sdraiato di Egon Schiele in copertina (La nave di Teseo, con nuova traduzione di Nicoletta Giacon) e quel titolo lussurioso (in tedesco, l'ancora più chiaro Lust), il lettore potrebbe pensare a una certa pornografia allettante. E invece, anche se nel 1989, quando uscì, il romanzo di Jelinek fu effettivamente accusato di pornografia, nulla vi si può trovare di un certo erotismo pop, della leggerezza bestseller delle Cinquanta sfumature. È un romanzo brutale e disturbante, nella trama e nel linguaggio. Un romanzo che difficilmente si dimentica, perché è un atto di accusa quasi assoluto al nostro mondo, proprio quello di oggi, anche se è stato scritto trentatré anni fa; ed è tanto più forte perché avviene attraverso un linguaggio la cui violenza è quantomeno pari a quella dell'uomo su chi e ciò che lo circonda.

Nel mirino della scrittrice austriaca, Premio Nobel per la Letteratura nel 2004, finiscono gli abusi dell'uomo sulla donna, il dominio devastante sulla natura, il consumismo accecante, la mercificazione delle relazioni (da quella genitori/figli a quella datore di lavoro/impiegato), l'esercizio meschino del potere a ogni livello, l'ipocrisia nei rapporti sociali, la falsità della famiglia, la religione, perfino la passione per lo sport e il turismo... Nulla si salva, in questa terribile cittadina fra le montagne austriache, dove nemmeno la neve che scende copiosa per tutto l'inverno e attira sciatori ridicolmente ambiziosi di esibirsi sulle piste, riesce a coprire i conflitti latenti a ogni angolo: conflitti che si esplicitano nei continui abusi fisici e sessuali di Hermann nei confronti di Gerti, in ogni momento del giorno, a volte perfino mentre il figlio, ancora bambino, è in casa. Hermann è l'uomo più invidiato della città, perché è il direttore della cartiera e dispone delle vite dei suoi dipendenti come un mega presidente fantozziano (qui scorre solo la vena malinconica di Fantozzi, ovviamente), sfruttandoli fino al licenziamento; Gerti è sua moglie, ed è la donna più invidiata della città, perché ha i soldi e il potere. Ma ogni potere ha un altro potere dietro di sé e, una volta che si finisce in quella spirale, anche per la più vittima delle vittime è difficile uscirne. Il figlio è un bambino, ma è già viziato, trombone, vessato dal padre che lo costringe a studiare il violino, bullo coi compagni e, nonostante i tentativi della madre di proteggerlo, il suo destino è segnato: «Sembra morire ogni giorno di più, man mano che cresce». Il marito, la moglie, il bambino: spesso Jelinek li chiama semplicemente così, con un linguaggio metaforico e insieme diretto, poetico e allo stesso tempo precisissimo e concreto nella descrizione dettagliata del male, del predominio che l'uomo esercita sul mondo in cui vive e sugli altri, a cominciare da chi dovrebbe amare.

La voglia è una discesa agli inferi, senza risalita. Il linguaggio angosciante fa presagire una sorte pessima per Gerti, e così è (anche se non si può dire fino a che punto).

Non solo non riesce a liberarsi del marito, dal quale subisce ogni tipo di violenza, ma finisce preda di un giovane studente che abusa di lei in modi ancora più umilianti. «Desideriamo sempre tornare sul terreno bruciato e aprire la carta da regalo in cui abbiamo camuffato le cose vecchie che diamo per nuove. E la nostra stella calante non c'insegna nulla».

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