«Mio caro, voi conservate tutto, e quando si pensa alla posterità non si firmano lettere come queste» scrive Baudelaire nel 1855 a Charles Asselineau, che diverrà il suo primo biografo: lettere con richieste di denaro, lagnanze contro gli affittacamere carogneschi che pretendono di essere pagati, o preghiere di portare per suo conto qualche oggetto di valore al Monte di Pietà. Lettere «di servizio», lettere di affari (laffannosa ricerca di editori, di riviste a cui collaborare), ma anche lettere-confessioni, soprattutto alla madre, interlocutrice privilegiata e in certo senso unica vera («Non ho amici allinfuori di te»; «nostra madre ci appare sempre la migliore delle donne»), dall'inizio alla fine di questa vita tormentatissima: ecco il volume uscito ora da Fazi, Charles Baudelaire, Il vulcano malato. Lettere 1832-1866, a cura di Cinzia Bigliosi Franck, pp. 543, Euro 24,50.
Si tratta davvero di «un cuore messo a nudo», un autoritratto di volta in volta malinconico, fiero, impietoso, ironico, annoiato (molto annoiato, a sentir lui, sempre e comunque), abbattuto, e, infine, malato di continue nevralgie, emicranie. E lultima lettera alla madre, da Bruxelles, dove si era ritirato in quasi totale isolamento, datata 30 marzo 1866, pare sia di poche ore precedente lictus emiplegico che toglierà al poeta luso della parola.
E pensare che Baudelaire non amava scrivere lettere («Una lettera mi costa più che scrivere un volume»: alla madre, 16 dicembre 1847), ma è costretto a farlo, incessantemente, faticosamente, per tenere in un qualche modo le fila della propria vita, che pare ogni momento sul punto di disgregarsi. Sin dagli anni del collegio - prima a Lione, poi al Louis-le Grand di Parigi - lo vediamo angosciarsi a causa di piccoli e grandi problemi, costretto in una situazione che gli è aliena (costante, questa dello spaesamento, dellintera sua esistenza: «Il mio animo è così singolare che io stesso non mi ci riconosco»: ancora alla madre, in una delle lettere fluviali che le indirizza), «violentato ogni giorno da una quantità di bisogni», e preda di tristezze profondissime, incline agli abbandoni, ad unignavia colpevole che gli fa chiedere spesso perdono a tutto e a tutti («e non è unindolenza piacevole, poetica, no. È un'indolenza tetra e stupida» scrive il diciottenne trasferitosi a Parigi).
Attraverso questampia scelta di lettere lo seguiamo dunque dal periodo del suo allontanamento da casa, quando, dopo la morte del signor Baudelaire, pittore, la madre si risposa con Aupick, un militare di carriera, rompendo il loro idillio da amanti («abbiamo sempre da parlare noi due, tu del lavoro, io di quanto ti amo, e siamo contenti luno dellaltra»). Naturalmente non possono esistere due caratteri più diversi: da un lato luomo dordine, dall'altro il suo esatto contrario; e lo scontro con il patrigno è quasi immediato. Di poco successive le penose vicende legate allinterdizione: avendo dilapidato buona parte delleredità paterna, viene messo sotto tutela, e struggente è la lettera dellestate del 1844, dove accusa la madre di avergli causato «un dolore così tremendo».
Cominciano ora i vagabondaggi parigini, la «vita di bettole e stanze ammobiliate» che lo «uccide e avvelena»; da una via allaltra, da un quartiere allaltro, rue Pigalle, il Marais, Avenue de la République, l'Ile Saint-Louis e così via; con i libri, gli strumenti del suo lavoro, sparsi qua e là, e un eterno rincorrere un minimo di stabilità economica. Il 4 dicembre 1847, dopo uno scorante affresco del suo quotidiano, dichiara alla madre il suo fermo proposito: «a partire dal primo giorno dellanno comincerò un nuovo mestiere - ossia la creazione di opere di pura immaginazione».
Ma sempre difficoltose, e sicuramente non bastevoli alla sopravvivenza, le collaborazioni con giornali ed editori; e frequenti le richieste di raccomandazioni per questo o quel lavoro. Si affacciano così nellepistolario i nomi dei suoi interlocutori nel mondo delle lettere, Flaubert, Gautier, Hugo, de Vigny, Champfleury, Maxime Du Camp, Poulet-Malassis - che sarà l'editore dei Fiori del male e in quanto tale processato insieme allautore -, Saint-Beuve.
A proposito di quest'ultimo, Cinzia Bigliosi Franck, ne parla come figura sostitutiva di quella paterna (così M.me Sabatier, oggetto di un amore non corrotto dai sensi, sostituirà la materna): un padre per nulla tenero, che non solo non lo sostiene, ma lo scoraggia da alcune imprese, come quella di divenire Accademico di Francia.
Lepistolario fiorisce dintelligenza e attenzione ai contemporanei, i pittori (Delacroix, Manet), i musicisti (lamato Wagner), gli scrittori (il «fratello» Poe, da lui tradotto e fatto conoscere in Francia), i poeti; e di critiche e autocritiche.
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