Ultimatum dell’Ue alla Turchia: rispetti i patti

Alessandro M. Caprettini

da Roma

Più che la concessione dei tempi supplementari, le 75 pagine rese note ieri dalla commissione Barroso sulla questione turca si sono rivelate un ultimatum dal sapore asprigno. Troppe le lacune e molto «limitati» i progressi richiesti. Certo, le porte della Ue restano aperte per Ankara, ma il tempo ormai stringe: 5 settimane perché il governo Erdogan riconosca Cipro, aprendo le sue porte a persone e merci provenienti da Nicosia e modifichi l’articolo 103 del codice penale, affinchè la libertà d’espressione sia finalmente concreta.
Laconico Barroso, alla fine dell’esposizione del rapporto: «Diamo ancora una chance agli sforzi diplomatici, ma Ankara deve rispettare i suoi obblighi» ha detto il presidente della commissione. C’era da aspettarselo. Il fatto è che i 25 sono spaccati molto seriamente sulla questione. Inglesi, spagnoli, italiani, svedesi e finlandesi premono perché la trattativa non s’interrompa. Francesi, austriaci, greci, polacchi e naturalmente i ciprioti avrebbero preferito un brusco stop. Così si concede un altro mese al governo turco, sperando che siano eliminati almeno i due principali punti di frizione.
Nel rapporto, in realtà, c’è anche altro che meriterebbe considerazione: i militari hanno ancora troppa influenza sulla società civile e pretendono di intervenire spessissimo; nella lotta alla corruzione si è parecchio indietro e i diritti umani non sono garantiti. Nelle pagine del rapporto si sottolinea ad esempio con forza come «non ci sia nessun progresso sulle difficoltà delle comunità religiose non islamiche» sul territorio turco. Tutto materiale che già fa storcere il naso a parecchi. Ma certo la questione cipriota e quella della libertà d’espressione restano i due punti davvero «caldi» su cui Erdogan a questo punto si gioca tutto.
Comunque sia la commissione, per non incrinare una già vacillante unità tra i 25 ha scelto... di non scegliere. Le sue raccomandazioni le fornirà prima dell’appuntamento di metà dicembre a Bruxelles, quando capi di stato e di governo converranno nella capitale belga per il solito summit di fine anno, prima del passaggio delle consegne dai finlandesi ai tedeschi. Questi ultimi restano molto tiepidi sulla questione turca. La Merkel è pressata dai socialdemocratici che spingono per il sì, ma il suo partito (Cdu) e gli alleati principali (Csu) sono invece per un rifiuto a proseguire le trattative. Meno complessa la situazione in Italia. Berlusconi da tempo era fautore dell’ingresso della Turchia, il governo Prodi è sulla stessa linea, tanto che ieri Massimo D’Alema - che ha incontrato a Roma il ministro degli Esteri turco Abdullah Gul - ha tenuto a far presente come il nostro governo «è contrario e si opporrebbe ad alternative rispetto ad una adesione completa della Turchia in Europa». Il nostro ministro degli Esteri invita Ankara a eliminare al più presto l’articolo 301 del codice penale, favorendo la libertà d’opinione e si mostra ottimista anche sul lavorio che in sede Ue e all’Onu è da tempo in piedi per sanare la ferita tra ciprioti e turchi: «Siamo impegnati in prima fila per un compromesso. E ci sono margini di manovra», ha assicurato. Senza però specificare meglio e accompagnando la notizia dell’ultimatum di Barroso con l’auspicio che costituisca «uno stimolo a procedere » e non il segnale «di una porta che si sta per chiudere».
A questo punto tocca ad Ankara decidere. Anche perché greci e ciprioti sono molto fermi sulle loro posizioni lamentando - i primi - incursioni aeree turche nel Dodecaneso, i secondi l’avviata distruzione a colpi di bulldozer delle poche chiese rimaste in piedi nella zona turca dell’isola. Né sono i soli a insistere per una chiarificazione totale sugli obblighi sottoscritti a suo tempo da Erdogan. Giusto ieri, il ministro francese degli Esteri Douste-Blazy, parlando alla Camera ha detto senza peli sulla lingua che «se Ankara non riconosce Cipro entro la fine dell’anno occorrerà rivedere il calendario per la sua adesione». E forse non è ancora tutto, da parte francese. Visto che a Istanbul, due quotidiani - Hurriyet e Millyet - hanno riscatenato l’offensiva anti-Parigi, assicurando che Chirac avrebbe intenzione di chiedere a dicembre ai suoi colleghi che sulla Turchia si tenga un referendum popolare come sulla Costituzione.
Di sicuro, almeno per ora, c’è che si aspetta la risposta finale turca.

«Questa per loro è l’ultima occasione, almeno per qualche anno», ha osservato Olli Rehn, commissario all’allargamento finlandese. Spiegando poi che la Ue a 25 non è più «un Tgv o un Eurostar. Siamo sull’Orient Express e prioritaria a questo punto diviene la sicurezza dei passeggeri».

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