(...) Val di Vara che un po' soffre le Cinque Terre e un po' annega nel suo verde intatto. E il fattore crisi ti sembra alieno ad un work in progress che marcia a suon di biologico e pale eoliche e il jingle è di quelli da isola felice. Ci torni a ficcare il naso in quell'economia di paese che ne è la tradizione e che è ha imparato negli anni a declinare il biologico. L'albergo Della Posta è sulla via principale del borgo. Nel nome la storia di una terra di mezzo strategica, il passaggio obbligato tra Emilia e Liguria. Glielo chiedi sulla porta se è vero che se se vanno. Luca Bertolini, il giovane titolare, si mette seduto. «Cent'anni di storia sa?». E finisce tutto così? «Mio zio lo ha acquistato dallo storico signor Ulisse cinque anni fa e ne ha lasciato a noi la gestione. I primi tre anni tutto bene, poi il calo del 50 per cento. Qui puntano solo sul biologico e Varese sta morendo. I ragazzi vanno via e non trovi personale. È sempre più dura. Lavori nei tre mesi estivi e in inverno cala. Molti arrivano, comprano la carne e ripartono. Se poi nei servizi televisivi fanno solo vedere mucche e pale eoliche...».
L'albergo ha venti camere e due sale, appena ristrutturate, che fanno 130 coperti. Da qui Bertolini se ne va a fine settembre, mentre lo zio tratta per una nuova gestione. Già che ci sei butti l'occhio nel vicino ristorante Gallo Nero, da quest'anno anche albergo, giusto per tastare il polso. Sulla crisi non ha dubbi la titolare Stefania Pezzi, però la musica parrebbe un'altra: «Questo non è solo il paese delle meraviglie - stuzzica lei - li fai venire qui, gli prometti bellezze e poi? Ci sono potenzialità da sviluppare. Questo turista, che non è la massa, vuole essere seguito e indirizzato. Cerca una dimensione precisa». Le chiedi se ci campa bene nel borgo, lei ride e ti risponde che ha molta fantasia. Come il corso di corzetti full immersion che s'inventa con un tour operator americano di base a Levanto. «Diciamo che una soluzione la trovo, ma la fatica è immane». Eppure insisti che Varese dovrebbe vendersi da solo, che più t'infili nel cuore più t'agguanta. Intanto ti guardi in giro. I due bar più noti del centro del paese sono chiusi per ferie, l'ottico funziona solo tre giorni la settimana, l'APT quattro e gli orari d'apertura degli esercizi sono a soggetto. Allunghi sul caruggetto. «La Piccola Parigi», negozio d'oggettistica ha un biglietto sulla porta: «Chiuso per restauri. Riaprirà in ottobre grazie ai suoi clienti che non hanno permesso di cessare l'attività». Bene, qualcuno tiene duro. Arrivi in Piazza Mazzini, svolti a sinistra e trovi «Silvana alimentari». Scusi, lei chiude? «Per il momento no - s'irrigidisce Silvana - ma devo fare i conti con la pensione. Forse tiro ancora 2 anni, perché 35 qui sono tanti. Ormai lavori solo con i pochi residenti anziani. Chi viene da fuori non compra nei negozietti e a parte il formaggio non vendo nulla di biologico. Le famiglie giovani vanno via e anch'io adesso ho voglia di vedere un po' di gente». Ti conferma il boom agostano, poi solito andazzo. Pare che «Leonardini abbigliamento» chiuda o ceda per motivi strettamente familiari ti dicono i bene informati dalle panchine, con quel modo di approcciarti che hanno dove si conoscono tutti e non conoscono te. Riprendi il centro e punti Palla Gialla abbigliamento. Il titolare Ermes Paterlini ti dice che è vero, che è in trattativa per mollare tutto, ma anche qui la colpa è delle risorse familiari scarse per far marciare l'attività. Denuncia il calo e butta lì «biologico&Co fanno audience, ma ci vorrebbe qualcos'altro per il commercio». Chiudi la gita da «Cose di Casa» che svende per cessata attività. Clara Sabini lì dentro c'è da 30 anni: «Ora basta. Sa, io non ne ho più voglia e mia figlia da sola non ci riesce a reggere il carico di lavoro». Quindi chiudono.
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