I punti chiave
Ieri la notizia della riapertura delle indagini sulla scomparsa di Emanuela Orlandi, figlia di un dipendente della prefettura della casa pontificia di cui si sono perse le tracce il 22 giugno 1983 su suolo italiano. La ragazza, all'epoca quindicenne, non fece più ritorno a casa dalla sua famiglia - residente all'interno dello Stato di Città del Vaticano - dopo essere uscita dalla scuola di musica che frequentava vicino a piazza Navona.
Il ruolo di Agca
La scomparsa di Emanuela Orlandi è diventato negli anni uno dei grandi misteri d'Italia. Sulla scia della riapertura delle indagini, annunciata dal promotore di giustizia vaticano Alessandro Diddi e che saranno affidate alla Gendarmeria, ha fatto sentire la sua voce anche uno dei protagonisti del probabilmente più famoso depistaggio legato alla vicenda di cronaca nera: il terrorista turco Alì Agca. La liberazione dell'attentatore di Giovanni Paolo II, infatti, venne richiesta dai fantomatici rapitori della ragazza che già nel luglio del 1983 cominciarono ad avanzare questa richiesta sia tramite le telefonate a casa Orlandi e alla Sala Stampa della Santa Sede di un presunto mediatore ribattezzato dalla stampa "l'amerikano" per l'accento straniero (vero o simulato non si è mai saputo) sia tramite i comunicati inviati da un fantomatico Fronte di liberazione turco anticristiano Turkesh.
"Ottima mossa"
Agca ha salutato favorevolmente la riapertura delle indagini, lodando "l'ottima mossa, doverosa" della giustizia vaticana e dicendosi "pronto a rivelazioni con prove". C'è da dire che non è la prima volta che il terrorista, tornato libero nel 2010 dopo l'estradizione in Turchia, promette rivelazioni sul caso che appassiona da decenni milioni di italiani e che ancora addolora la famiglia della studentessa. Già nel luglio 1983, quando il suo nome fu coinvolto per la prima volta nella vicenda, l'allora detenuto si rese protagonista di un proclama davanti alle telecamere per dirsi estraneo e chiedere ai presunti rapitori di liberare la ragazza "senza condizioni".
Le mille versioni
Negli anni, poi, Agca ha esternato più volte sul caso, fornendo diverse versioni e poi sostenendo anche di averlo fatto per salvare la vita della ragazza. Durante il processo per l'attentato al Papa, il terrorista aveva attribuito il presunto rapimento ai Lupi Grigi e ai servizi bulgari. Dopo il rilascio, Agca aveva sostenuto che Emanuela "è viva e tornerà", poi in una lettera al fratello Pietro Orlandi aveva detto che la ragazza "è stata presa in consegna da alcune suore sin dall'inizio".
L'ipotesi sequestro
Ad oggi non esiste alcuna certezza che Emanuela Orlandi sia stata effettivamente rapita e le presunte organizzazioni a nome delle quali parlavano i telefonisti dei primi mesi successivi alla sua scomparsa non hanno fornito prove del fatto che Emanuela fosse ancora viva. All'epoca, però, anche la Santa Sede si convinse della veridicità del rapimento legato ad un intrigo internazionale e Giovanni Paolo II rivolse ben otto appelli ai responsabili della scomparsa della ragazza residente in Vaticano.
Lo ha spiegato padre Federico Lombardi, ex direttore della Sala Stampa della Santa Sede, in quella che è finora il documento della Santa Sede più completo sulla vicenda di cronaca nera e che venne pubblicato il 14 aprile 2012. Scrisse padre Lombardi:"A quel tempo le Autorità vaticane, in base ai messaggi ricevuti che facevano riferimento ad Ali Agca – che, come periodo, coincisero praticamente con l’istruttoria sull’attentato al Papa – condivisero l’opinione prevalente che il sequestro fosse utilizzato da una oscura organizzazione criminale per inviare messaggi od operare pressioni in rapporto alla carcerazione e agli interrogatori dell’attentatore del Papa. Non si ebbe alcun motivo per pensare ad altri possibili moventi del sequestro".
Il mistero, non solo sulla scomparsa di Emanuela Orlandi avvenuta a Roma e non in Vaticano, ma anche sui depistaggi che ci sono stati in questi quarant'anni, continua.
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