
L’ultimo segreto sul processo a monsignor Angelo Becciu è stato svelato, guarda caso nel momento di maggiore fragilità per Papa Francesco e alla vigilia del prossimo Conclave che dovrà scegliere il sostituto di Bergoglio. Il processo contro l’ex sostituto alla Segreteria di Stato nasce da una macchinazione creata a tavolino per mascariare l’alto prelato davanti al Pontefice, che oggi parla di «condotte sconcertanti, che nulla hanno a che fare con la ricerca della verità», lui che è stato privato di una serie di guarentigie cardinalizie sulla base di sospetti e illazioni.
Qual è lo scopo di questa macchinazione è giusto chiederselo ma è prematuro saperlo. Intanto la strenua difesa di Becciu guidata da Fabio Viglione e Maria Concetta Marzo ha la conferma per tabulas di ciò che era emerso nel corso delle udienze al processo sui presunti affari spregiudicati dietro l’acquisto del palazzo di Sloane Square a Londra (rivenduto a un prezzo colpevolmente inferiore rispetto al valore di mercato), conclusosi con la condanna del monsignore per peculato, senza però essersi messo in tasca un centesimo. Un non senso che la rivelazione del «Domani» chiarisce una volta per tutte.
Grazie ai legali dell’imprenditore italo-londinese Raffaele Mincione, anch’egli infangato dal processo in Vaticano portato avanti dal Promotore di Giustizia Alessandro Diddi, è stato possibile acquisire tutte le chat che si sarebbero scambiate tre personaggi chiave del processo: lo stesso Diddi, Genevieve Ciferri e Francesca Immacolata Chaouqui. Conversazioni dalle quali emergerebbe ciò che i pochi media che avevano «davvero» seguito il processo (compreso il Giornale) aveva ipotizzato: il capo d’accusa contro Becciu - il memoriale di monsignor Alberto Perlasca - sarebbe stato costruito a tavolino da loro tre in cambio del proscioglimento dello stesso Perlasca, collaboratore di Becciu. Grazie a questo dossier farlocco Perlasca avrebbe (ri)ottenuto un ruolo all’interno del Vaticano e l’accesso ai conti. I tre temevano di essere scoperti («Se viene fuori che eravamo tutti d’accordo, è la fine», si scrivono i tre ), ecco perché la stragrande maggioranza di queste chat è stata omissata (tranne sei messaggi su 126) e mai resa disponibile alle parti, nonostante lo prevedesse il codice, con buona pace del presidente del Tribunale vaticano Giuseppe Pignatone, diventato cittadino vaticano come Diddi, con tanto di stipendio e pensione cumulabile, un pugno di giorni prima della condanna.
Coincidenze, certo, sui quali i legali di Mincione e di Becciu vogliono indagare fino in fondo: «Le chat rivelano il coinvolgimento attivo dell’autorità giudiziaria vaticana e degli investigatori, nonché di soggetti estranei alle indagini e al processo, nella preparazione della testimonianza di monsignor Perlasca - dicono gli avvocati Gian Domenico Caiazza, Andrea Zappalà, Ester Molinaro e Claudio Urciuoli - interferenze che sono servite per orientare la narrazione accusatoria contro alcuni degli imputati». «C’è un’ulteriore ammissione, profondamente patologica, di un sistema: l’esigenza espressa dalla Chaoqui, di mantenere “due piani”, quello della verità “dove tutti sapevano, dal Papa in giù, cosa stavamo facendo” e il piano processuale, dove “bisogna affermare che nessuno sapeva, perché un complotto porterebbe all’annullamento di un processo che nei fatti è falsato sin dalla sua origine, «con l’assenza di imparzialità e la manipolazione del principale testimone d’accusa».
Più volte al controinterrogatorio dei difensori di Becciu Perlasca è caduto in contraddizione, come se non fosse pienamente a conoscenza della ricostruzione dei fatti a lui attribuita. «La lettura dei messaggi pubblicati oggi sul quotidiano “Domani” non può che suscitare profondo sconcerto. Tali rivelazioni confermano quanto da me denunciato sin dall’inizio e che, in gran parte, il processo ha già dimostrato. Solo scelte discutibili adottate dal Tribunale, su sollecitazione dell’Ufficio del promotore di giustizia, hanno consentito a queste conversazioni di rimanere segrete», dice monsignor Becciu, che lamenta come questa sia la prova «di una macchinazione ai miei danni: un’indagine costruita a tavolino su falsità, che cinque anni fa ha ingiustamente devastato la mia vita e mi ha esposto a una gogna di proporzioni mondiali».
Il messaggio del monsignore ha come destinatari anche le più alte gerarchie vaticane: «Rimane un’amarezza profonda nel constatare che individui capaci di tali nefandezze nei confronti di un cardinale - o indifferenti di fronte a esse - continuino a ricoprire ruoli di prestigio in Vaticano».
Sulle «criticità macroscopiche nella gestione del processo, sul peso dei quattro «rescritti» pontifici che hanno modificato la legge a proceso in corso e sul delicatissimo rapporto tra diritto vaticano e diritto canonico si è pronunciata con un libro "choc" («Il processo Becciu, un’analisi critica», scritto con Manuel Ganarin e Alberto Tomer) la professoressa Geraldina Boni, ordinaria di Diritto ecclesiastico all’Alma Mater di Bologna, già autrice di un parere pro veritate che ha messo in luce la deriva giustizialista di questo processo, piene di «zone d’ombra» e di «bizzarre asserzioni, frutto di incompetenza canonica» da parte dei magistrati del Papa che, secondo la studiosa, avrebbe messo in discussione «i principi del giusto processo» legati «direttamente al diritto divino naturale», complicando di conseguenza gli obblighi vaticani nella comunità internazionale con «rischi concreti per lo Stato pontificio stesso».
Era stato il Domani a scrivere sia del libro della Boni sia della vicenda Mincione, sostanzialmente assolto dalla giustizia inglese rispetto ai capi d’accusa ipotizzati dalla sentenza.
A dirigere il quotidiano è Emiliano Fittipaldi, che con la Chaouqui ha condiviso il processo Vatileaks assieme a Gianluigi Nuzzi. Se il fronte che ha messo in imbarazzo il Vaticano con le sue rivelazioni si è spaccato, è plausibile pensare che nei prossimi mesi su altri segreti in Vaticano potrebbero tornare ad accendersi i riflettori.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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