Ieri ricorreva il decennale dalla Declaratio con cui Benedetto XVI annunciò di voler rinunciare al ministero petrino. Una decisione maturata dopo aver preso atto in coscienza di non avere più le forze fisiche per fare il Papa adeguatamente. A proposito di ciò, è indicativo quanto ha raccontato alla rivista Il Timone il cardinale olandese Willem Jacobus Eijk di un'udienza privata che si tenne l'8 febbraio 2013: "Quando sono entrato nella sala di ricevimento sono rimasto scioccato: il Papa appariva pallido e smunto e doveva aggrapparsi al tavolo per rimanere in piedi. Mi è passato per la testa il pensiero: 'Come può una persona in condizioni fisiche così precarie guidare la Chiesa mondiale?'".
Contro ogni aspettativa, libero dalle incombenze relative al governo della Chiesa, Joseph Ratzinger è vissuto quasi un decennio pieno dopo la sua rinuncia. Dopo la pubblicazione del libro Nient'altro che la verità abbiamo la conferma dalla persona a lui più vicina, monsignor Georg Gänswein, che non sono stati anni privi di sofferenze ed amarezza per lui. Probabilmente era inevitabile che fosse così, perché Jospeh Ratzinger è stato uno dei pochissimi ex regnanti ad assistere in vita alla nascita di un nuovo pontificato e dunque anche alla fine del proprio. Per di più, la successione è stata sorprendente - come da lui stesso rivelato nel libro Ultime conversazioni scritto con Peter Seewald e ribadito anche nel testo di Gänswein - e, pur nel rispetto della figura del predecessore, non può essere considerata solo all'insegna della continuità come avvenne invece nel 2005.
I due conclavi
Mentre Ratzinger era stato il principale collaboratore di Giovanni Paolo II, nel 2013 Jorge Mario Bergoglio non entrò in Cappella Sistina con i galloni del fedelissimo del Papa dimissionario. L'argentino non era stato chiamato alla guida di congregazioni curiali nei quasi otto anni di Benedetto XVI e aveva cominciato il mandato come arcivescovo di Buenos Aires ai tempi di Giovanni Paolo II che lo aveva creato anche cardinale. Non solo, dunque, Bergoglio non era annoverabile tra i ratzingeriani, ma dai cardinali reduci del 2005 veniva ancora ricordato come il principale competitor di Ratzinger nell'ultimo conclave. Tutte le ricostruzioni su quei giorni successivi al funerale di Giovanni Paolo II, infatti, sono concordi nel dire che il gesuita argentino fu all'epoca il candidato di chi non voleva che il favoritissimo tedesco salisse sul soglio pontificio.
Alla luce dei risultati del conclave del 2005, quindi, era piuttosto evidente che Ratzinger e Bergoglio rappresentavano due visioni diverse di come condurre la Chiesa nel nuovo millennio, pur nella comune fedeltà alla dottrina della Chiesa e alla Tradizione. Non è un delitto affermarlo, ma una constatazione che tiene conto anche del fatto che nelle congregazioni generali e nei conclavi non avviene una lotteria di nomi ma piuttosto un confronto programmatico. La Chiesa, d'altra parte, è sempre stata il luogo per antonomasia in cui si è saputa coniugare l'unità e la pluralità.
La sorpresa
Nel 2013 i reduci del conclave che aveva eletto Ratzinger e i nuovi cardinali creati proprio da lui, contro ogni pronostico, hanno scelto come suo successore un uomo che non era identificabile con quel pontificato e che quasi otto anni prima aveva intercettato i consensi di chi non voleva vedere vestito di bianco l'allora prefetto della Congregazione per la dottrina della Fede. Al contrario di quanto si vede nel film The Two Popes, quest'aspetto conferma il disinteresse per il potere che ha sempre contrassegnato la vita di Ratzinger. Non solo la rinuncia, ma anche la sua ferrea volontà di non condizionare in alcun modo la successione.
"Dagli scarni commenti che il Papa emerito si lasciò sfuggire nei giorni immediatamente successivi – ha rivelato monsignor Gänswein nel suo libro – potei comprendere che il nome di Jorge Mario Bergoglio gli giunse inatteso. Ho pensato, ricordandomi che voci attribuite a cardinali presenti nel conclave del 2005 avevano citato l’arcivescovo di Buenos Aires come un protagonista di quel momento, che forse Benedetto si era fatto il conto che gli anni erano trascorsi anche per il confratello argentino". D'altra parte, era stato proprio Ratzinger, da cardinale, a spiegare che durante il conclave lo Spirito Santo "lascia molto spazio, molta libertà, senza pienamente abbandonarci".
Due pontificati legittimamente diversi
La rinuncia del 2013 ha determinato a tutti gli effetti la fine del pontificato benedettino. Ma la sopravvivenza dell'ex Papa (a cui si è aggiunta la sua volontà di chiamarsi emerito) ha provocato continui confronti e anche confusione per quasi dieci anni. Pur essendosi trovato a fare il Papa regnante in una situazione senza precedenti, Francesco è apparso sin da subito determinato a portare avanti il suo programma di governo nella Chiesa mantenendo un forte rispetto formale per il predecessore ma senza nascondere la volontà di voltare pagina.
Il decisionismo di Francesco ha aiutato, in un certo senso, a consegnare alla storia il pontificato di Benedetto XVI, nonostante l'ambiguità della sua presenza ancora in Vaticano. Allo stesso tempo, la linea di Francesco ha fatto anche crescere la nostalgia per quel pontificato conclusosi traumaticamente in tutti quei prelati e fedeli che hanno faticato a sentirsi a proprio agio con lo stile del nuovo Papa. Insomma, si possono non condividere le modalità di governo di Francesco, ma non si può mettere in discussione la sua legittimità a fare pienamente il Papa.
La rinuncia come costante
Non per forza, poi, il nuovo pontificato doveva essere "fotocopia" del precedente. Al contrario, l'elezione di un profilo che nel 2005 era stato considerato alternativo a quello di Ratzinger ha determinato inevitabilmente un pontificato molto differente da quello di Benedetto XVI.
I cardinali riuniti in conclave nel 2013, creati tali da Giovanni Paolo II e da Benedetto, avrebbero dovuto essere perfettamente consapevoli di ciò in Cappella Sistina quando fecero convergere la maggioranza di voti sull'arcivescovo di Buenos Aires. Questa sorprendente pagina della storia della Chiesa è stata resa possibile dall'altrettanto sorprendente rinuncia di dieci anni fa. All'epoca nessuno era abituato a vedere un Papa dimettersi, mentre chi conosceva Ratzinger sapeva che quello del passo indietro da ruoli di potere era stata sempre una sua costante sia nella carriera ecclesiastica che in quella accademica. Prima del pontificato, egli presentò più volte le sue dimissioni a Giovanni Paolo II dall'incarico di prefetto della Congregazione per la dottrina della fede e lasciò anche il prestigioso posto di professore di teologia dogmatica all'università di Tubinga.
È difficile capire quanto avvenne in quei giorni tra il febbraio ed il marzo di dieci anni fa - dall'annuncio della rinuncia al ministero petrino di Benedetto XVI all'elezione di Francesco - senza risalire a quel conclave del 2005. Si dice che Ratzinger, a un passo dal quarto scrutinio che lo avrebbe eletto 264esimo successore di Pietro, fosse tentato già all'epoca dal "gran rifiuto". Eppure, non era una prima volta per lui. Già alla morte di Paolo VI, nel 1978, pur avendo solo 51 anni e pur essendo freschissimo di porpora, il nome dell'allora arcivescovo di Monaco era finito nella lista dei papabili accanto a quello, tra gli altri, di Albino Luciani, colui che sarebbe stato poi eletto con il nome di Giovanni Paolo I.
Decisivo a fargli cambiare idea nel 2005 - almeno dalle testimonianze - pare essere stato un biglietto inviatogli poco prima nella riunione dei cardinali dall'austriaco Christoph Schönborn, suo ex allievo e porporato. "Se il Signore ora ti dicesse: Seguimi, allora ricordati di ciò che hai predicato. Non rifiutare!", scrisse l'arcivescovo di Vienna.
E Ratzinger lo ascoltò, pronunciando poche ore dopo in Cappella Sistina il fatidico "accepto". E sempre nel conclave del 2005, il nome di Bergoglio si fece largo per la prima volta nel collegio cardinalizio, dimostrando di poter raccogliere un consenso importante che si rivelò poi deciso quasi otto anni dopo.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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