Il Vaticano sotto accusa per il funerale di Benedetto XVI

Spuntano i primi "veleni" per la gestione delle esequie del Papa emerito, Joeph Ratzinger. E gli sfoghi di monsignor Georg Gänswein fanno infuriare i "tifosi" di Bergoglio

Il Vaticano sotto accusa per il funerale di Benedetto XVI

Quasi dieci anni dopo la rinuncia e quell'indimenticabile volo in elicottero su Roma con destinazione Castel Gandolfo, la breve agonia, la morte e i funerali di Benedetto XVI hanno riportato il suo pontificato al centro della scena mondiale.

Non è bastato il basso profilo che la Santa Sede ha scelto per dare l'ultimo saluto al primo Papa emerito della storia. Forse ci si è fatti prendere un po' la mano dalla comprensibile necessità - specialmente alla luce delle numerose speculazioni post-rinuncia - di rendere chiaro che sarebbero state esequie di un Pontefice non più regnante. In questi giorni, infatti, si sono diffusi i malumori per il mancato lutto in Città del Vaticano, il corteo-lampo dal monastero Mater Ecclesiae alla Basilica di San Pietro su un semplice minibus, la prosecuzione delle attività ufficiali come l'udienza generale, la richiesta ai governi di partecipare ai funerali in forma privata e non con delegazioni ufficiali, con l'eccezione di quello italiano e di quello tedesco.

Adesso sono in molti a credere che la macchina organizzativa abbia fallito l'appuntamento con la storia di gestire nel giusto modo il primo funerale della storia di un Papa emerito. Che non era più Papa regnante, certamente, ma che lo era stato per quasi otto anni.

Le confessioni di Gänswein

Come una tempesta perfetta, nei giorni dell'esposizione della salma e delle esequie di Benedetto XVI sono circolate le anticipazioni di un libro (Nient'altro che la verità, edizioni Piemme) e di un'intervista del suo fedele segretario particolare, monsignor Georg Gänswein, nelle quali si esplicitava lo choc per essere stato "dimezzato" tre anni fa nel ruolo di prefetto della Casa Pontificia all'indomani delle polemiche suscitate dal libro a difesa del celibato sacerdotale del cardinale Robert Sarah e che vedeva Ratzinger come co-autore.

Altrettanto rumore ha provocato una risposta di Gänswein su Traditionis Custodes, il documento con cui Francesco ha di fatto abrogato la liberalizzazione concessa nel 2007 alla cosiddetta messa tridentina: "Credo che papa Benedetto abbia letto questo motu proprio con dolore nel cuore", ha affermato l'arcivescovo tedesco al quotidiano Die Tagespost.

La verità sulla messa in latino

Gänswein è stato duramente attaccato da alcuni addetti ai lavori. Le rivelazioni del "prefetto dimezzato" hanno fatto parlare di divisioni nella Chiesa destinate a riacutizzarsi dopo la morte di Benedetto XVI. E in effetti, ormai persino alcuni cardinali e vescovi hanno ammesso l'esistenza di tensioni.

Al segretario particolare viene contestato di aver detto la verità: la sua assenza dal gennaio 2020 nelle occasioni pubbliche in qualità di prefetto della Casa Pontificia non è una sua opinione ma un dato di fatto. Allo stesso modo, è difficile rimanere sorpresi dall'apprendere che a Benedetto XVI non piacque il motu proprio che cancellava uno dei provvedimenti più importanti del suo pontificato, quel Summorum Pontificum con cui aveva voluto ribadire una volta per tutte la piena "cittadinanza" nella Chiesa dell'uso della liturgia romana anteriore alla riforma del 1970. Lo stesso Francesco ha più volte fatto l'elogio del dono della parresìa e del coraggio della franchezza nelle sue omelie.

La questione della continuità

Le reazioni alle parole di Gänswein denotano, piuttosto, il fastidio per aver reso manifesto il fatto che è difficile parlare di continuità tra gli orientamenti dei due pontificati. Non è la prima volta che accade nella storia della Chiesa ma è la prima volta in epoca contemporanea che ciò avviene con un predecessore ancora in vita.

Ma, d'altra parte, era quasi inevitabile che avvenisse con l'elezione nel 2013 di colui che fu - secondo tutte le ricostruzioni - il competitor di Joseph Ratzinger nel Conclave del 2005. Mancata continuità, però, non può portare alla contestazione della legittimità da parte di chi rischia di scambiare - chi in buona fede, chi no - diverse sensibilità ecclesiali per tifoserie calcistiche/politiche.

Presunto veto su Biden o scelta "low profile"?

Un cortocircuito di questo approccio lo si è visto in questi giorni di fronte alla notizia che la mancata partecipazione del presidente Usa, Joe Biden, al funerale sarebbe stata conseguenza di una precisa volontà espressa da Benedetto XVI. La portavoce Karine Jean-Pierre ha spiegato alla stampa che l'attuale inquilino della Casa Bianca non sarebbe stato presente a Roma "in linea con i desideri del defunto Papa e del Vaticano". Queste parole sono state interpretate come uno "schiaffo" di Ratzinger al presidente dem, considerato persona sgradita forse in virtù della sua posizione pro-abortista.

Bisogna vedere, tuttavia, se i desideri a cui ha fatto riferimento Jean-Pierre corrispondano a quella "richiesta esplicita da parte del Papa emerito che tutto fosse all’insegna della semplicità" di cui aveva parlato la comunicazione ufficiale della Santa Sede in qualche modo per preparare il campo allo svolgimento di esequie in cui le uniche delegazioni ufficiali ammesse sono state quella tedesca e quella italiana.

Un low profile, dunque, di cui in queste ore è stato accusato il Vaticano, e che sicuramente sarebbe stato guastato dalla presenza dell'uomo più potente del mondo.

D'altro canto, le indicazioni della Santa Sede per una partecipazione a solo titolo personale dei capi di Stato di altri Paesi hanno provocato qualche mal di pancia importante: il presidente portoghese Marcelo Rebelo de Sousa ha esplicitato il suo malessere, spiegando che il Portogallo avrebbe dovuto essere

rappresentato ufficialmente in quanto futuro organizzatore della Giornata Mondiale della Gioventù. A meno di clamorose conferme, dunque, è difficile pensare all'esistenza di un veto ad personam di Benedetto XVI su Joe Biden.

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