La morte del Papa emerito cambierà qualcosa in Vaticano? La fine dell'inedita coabitazione tra Benedetto XVI e Francesco avrà conseguenze sul pontificato di quest'ultimo? Il tempo risponderà a queste domande che comincia a porsi anche la stampa internazionale, ma è difficile immaginare che ci siano grandi stravolgimenti.
Intanto perché, come ha ricordato recentemente il cardinale Gianfranco Ghirlanda in un'intervista a Il Giornale, è chiaro che "si ha un solo Papa". Ratzinger - come rimarca l'esperto Roberto Regoli nel suo contributo al volume dedicato al papato emerito Papa, non più papa. La rinuncia pontificia nella storia e nel diritto canonico - era perfettamente consapevole delle implicazioni che avrebbe comportato il suo passo indietro nel 2013 e infatti lo presentò ai fedeli parlando di gravità e di novità. Tuttavia, probabilmente proprio per questo fece, in anticipo, delle puntualizzazioni importanti: a ciò si deve quella promessa di "incondizionata reverenza ed obbedienza" che l'allora Papa dimissionario rivolse al collegio cardinalizio riunito il 28 febbraio 2013.
In questi quasi dieci anni Francesco ha governato la Chiesa in piena autonomia non rinunciando a prendere decisioni sicuramente poco gradite al suo predecessore ancora in vita. Solo per citarne alcune: la promulgazione della lettera apostolica Traditionis Custodes che ha di fatto abrogato il Summorum Pontificum con cui nel 2007 erano state liberalizzate le celebrazioni nella forma straordinario dell'unico rito romano; la rimozione dopo soli cinque anni del cardinale Gerhard Ludwig Müller alla guida della Congregazione per la dottrina della fede; il ridimensionamento dell'arcivescovo Georg Gänswein nel ruolo di prefetto della Casa Pontificia dopo le polemiche per il libro in difesa del celibato sacerdotale.
L'assenza di un Papa emerito può facilitare la rinuncia di Francesco? Non è detto. Il Pontefice regnante, infatti, ha sì detto più volte di non escludere la possibilità di emulare il suo predecessore, ma ha anche smentito di recente di volerla prendere in considerazione al momento e lo ha fatto con un'espressione piuttosto drastica: "Non mi è mai entrato in mente".
Peraltro, c'è da tenere in considerazione anche l'inclinazione caratteriale e lo stile di governo: a confutare le numerose congetture esistenti sulle motivazioni delle dimissioni del 2013, basta conoscere la storia di Joseph Ratzinger e sapere che per lui la rinuncia a ruoli importanti non rappresentava una novità. Nel 1969 l'allora professore di teologia dogmatica lasciò clamorosamente la sua cattedra all'università di Tubinga per andare nella più familiare Ratisbona, vicino al fratello Georg. Come spiegò il suo amico/nemico Hans Küng, nel loro ambiente accademico abbandonare Tubinga significava come lasciare Harvard. Voluto a Roma da Giovanni Paolo II, Ratzinger si dimise poi almeno tre volte (tutte rifiutate) da prefetto della Congregazione per la dottrina della fede perché intenzionato a trasferirsi nella sua casa di Pentling con il fratello. Francesco, invece, non ha compiuto passi indietro di questo tipo nella sua carriera precedente all'elezione. Negli anni Settanta portò a termine il suo mandato di preposito provinciale della Compagnia di Gesù in Argentina mentre da arcivescovo di Buenos Aires si dimise solo una volta compiuti i 75 anni canonici ma, come da prassi, venne prorogato da Benedetto XVI a cui sarebbe poi succeduto poco dopo.
È vero che Bergoglio ha recentemente confessato di aver firmato una lettera di rinuncia ad inizio pontificato in caso di malattia invalidante, ma come ha fatto notare Ghirlanda - peraltro canonista di fiducia del Papa - questa circostanza è molto diversa da quella vista con Benedetto XVI e richiama piuttosto i precedenti di Pio XII, Paolo VI e Giovanni Paolo II che poi non si dimisero ma immaginarono di farlo in caso di impossibilità a governare. Quella di Ratzinger, invece, è stata "una rinuncia compiuta nella pienezza delle sue facoltà psichiche", come precisato dal gesuita nella già citata intervista a Il Giornale.
Francesco ha detto che in caso di rinuncia non sceglierà per sé il titolo di Papa emerito ma probabilmente quello di vescovo emerito di Roma. Una denominazione preferita anche dal cardinale Ghirlanda di cui Bergoglio ha piena fiducia. La scelta di Ratzinger di assumere questo titolo inedito rappresenta nella storia della Chiesa quella che don Regoli ha definito "una terza strada" rispetto a quanto avevano previsto i suoi predecessori che avevano preso in considerazione l'ipotesi di dimettersi. Le altre due strade, infatti, consistevano nel rimanere anche cardinale o solo vescovo. Quest'ultima, evidentemente, è l'opzione che sceglierebbe Bergoglio in caso di passo indietro. D'altra parte, come spiegava il cardinale Gerhard Ludwig Müller nel 2016 nel suo Benedetto & Francesco. Successori di Pietro al servizio della Chiesa - testo importante nel dibattito sul tema che presentava la prefazione dello storico direttore della rivista Studi Cattolici e della casa editrice Ares, Cesare Cavalleri scomparso proprio pochi giorni fa - "certamente solo papa Francesco è il Papa, ma Benedetto è l’emerito, perciò in qualche modo ancora legato al papato. Questa situazione inedita deve essere affrontata teologicamente e spiritualmente".
La situazione, nel frattempo, non è stata affrontata ufficialmente e lo stesso Francesco ha ammesso che il suo auspicio è che "la storia stessa aiuterà a regolamentare meglio”.
La morte di Benedetto XVI, più che avere conseguenze dirette sull'attuale pontificato, determinerà dei precedenti inediti nella storia di cui in futuro, in caso di un altro Papa emerito, difficilmente si potrà non tenere conto. Ad esempio per ciò che riguarda le modalità di svolgimento delle esequie.
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