Forse la prima tappa della missione della Santa Sede per allentare le tensioni della guerra in Ucraina non ha avuto la copertura mediatica che meritava. La due giorni del cardinale Matteo Maria Zuppi nel Paese aggredito si è chiusa con qualche risultato non eclatante per i titoli di giornale ma significativa nella fragile tela che intende tessere il Papa con la speranza di creare le condizioni per fermare le armi. Infatti non va trascurato il fatto che Volodymyr Zelenskyj abbia accettato di ricevere ed ascoltare chi, a ridosso della partenza, ha dichiarato esplicitamente di credere nel dialogo tra Kiev e Mosca.
Non neutrale
Si sbagliava chi pensava che la Santa Sede avrebbe assunto un atteggiamento ponziopilatesco nell'attribuzione delle responsabilità per lo scoppio del conflitto in Ucraina. Pur promuovendo una missione con l'obiettivo di avviare percorsi di pace tra le parti in conflitto, la visita a Bucha del presidente della Cei con l'omaggio alle vittime delle fosse comuni ha dimostrato come la Santa Sede si muova sempre nella consapevolezza che - come ha scritto Francesco - "l'Ucraina è stata aggredita e invasa". Ricordarlo con i gesti simbolici non è stato un calcolo di convenienza politica ma un atto di verità dovuto.
Faccia a faccia con Zelensky
Considerato l'intento dichiarato di questa missione e il richiamo al dialogo invocato insistentemente dal suo protagonista, non era poi così scontato - come ha sottolineato anche il segretario di Stato, cardinale Pietro Parolin - che l'incontro tra Zuppi e Zelensky. E invece c'è stato. Al fianco del cardinale c'era monsignor Visvaldas Kulbokas, nunzio apostolico in Ucraina ma anche l'uomo che fece da interprete tra Francesco e Kirill nello storico incontro di Cuba del 2016. La sua presenza è di testimonianza non solo di quell'"accordo con la Segreteria di Stato" che si era voluto puntualizzare nel comunicato ufficiale d'annuncio della missione affidata a Zuppi, ma anche di quell'intreccio di rapporti (ecumenici e diplomatici) che molti prelati cattolici in Ucraina possono vantare con la vicina Russia e che rendono la straordinaria rete della Santa Sede una risorsa preziosa almeno per provare ad allentare le tensioni. Per questo - oltre alla credibilità spirituale di cui gode - la Sede Apostolica è l'attore più giusto in questa delicata partita dove chiunque altro partirebbe sconfitto.
È vero che la nota della presidenza ucraina al termine dell'incontro può essere interpretata come una doccia fredda laddove sentenzia che "il capo dello Stato ha sottolineato che il cessate il fuoco e il congelamento del conflitto non porteranno all'instaurazione della pace", aggiungendo che la richiesta avanzata a Zuppi è stata quella di "contribuire all'attuazione del piano di pace ucraino", ricordando che "solo gli sforzi congiunti, l'isolamento diplomatico e la pressione sulla Russia possono influenzare l'aggressore e portare una pace giusta sul suolo ucraino". Una strada per la pace non certo corrispondente a quella immaginata dallo stesso cardinale che ad inizio conflitto citò l'esempio di San Francesco d'Assisi capace di salvare gli abitanti di Gubbio andando a parlare con il lupo e dunque "rischiando di essere visto come pericoloso fiancheggiatore oppure ingenuo idealista" ma che infine "vide il lupo come era per davvero e sconfisse la violenza". Eppure, il solo fatto di sedersi al tavolo con chi non crede alla strada dell'isolamento diplomatico della Russia al punto tale da essere inviato del Papa non solo a Kiev ma anche a Mosca, è un segnale di non chiusura.
L'attenzione di Mosca
Essendo abituati da un anno e mezzo a leggere le dichiarazioni di fuoco dei rappresentanti del Cremlino, non possono passare inosservati i toni utilizzati all'indomani della tappa ucraina dell'arcivescovo di Bologna. La portavoce del ministero degli Esteri russo, Maria Zakharova ha detto che la Russia "valuta positivamente i tentativi del Vaticano di facilitare la fine del conflitto in Ucraina" e riconosce il "sincero desiderio della Santa Sede di facilitare il processo di pace". Parole non scontate che si accompagnano all'ammissione che non ci sono stati finora passi concreti per la realizzazione del viaggio a Mosca di Zuppi. Ma è probabile che sia solo normale cautela: la visita del cardinale, molto probabilmente, ci sarà perché è l'inevitabile epilogo della missione fortemente voluta dal Papa. Che il tema sia sul tavolo lo dimostrano le dichiarazioni di ieri del cardinale segretario di Stato, Pietro Parolin per il quale "non ci sarebbero difficoltà a incontrare il patriarca Kirill". Come aveva detto Zuppi nei giorni precedenti, prima bisognerà parlarne con il Papa che si trova in questo momento in ospedale. Ma è piuttosto improbabile che Francesco sia contrario ad un faccia a faccia tra il suo inviato e il capo della Chiesa ortodossa russa.
L'osservatore americano
Senz'altro interessanti sono le reazioni arrivate da oltreoceano all'iniziativa che Francesco ha affidato al presidente della Cei. Dai media degli Stati Uniti non sono mancate le critiche al Papa per la linea da loro giudicata troppo ambigua sulla guerra in Ucraina. The New York Times ha accusato Francesco di prendersela con la guerra ma non con l'aggressore ed ha confermato un giudizio diffidente sulle mosse vaticane anche all'indomani dell'annuncio della missione di Zuppi. Dopo l'incontro con Zelensky, su The Pillar - sito cattolico statunitense molto letto e che gode di buone entrature tra molti vescovi nordamericani - è comparso un commento di Luca Coppen intitolato "Il cardinale Zuppi è un uomo in missione. Ma qual è la missione?". Ma il titolo potrebbe trarre in inganno perchè l'autore, pur non tacendo lo scetticismo che esiste negli States sulla missione della Santa Sede - conclude con un paragrafo di speranza, che si conclude con queste parole: "Il più delle volte, gli operatori di pace falliscono. Ma se si rifiutano di arrendersi, hanno la possibilità di avere successo un giorno e di migliorare la vita di milioni di persone".
Passi umanitari
Nonostante l'esperienza maturata come mediatore, quella di Zuppi non è una missione di mediazione. Non ci sarebbero state le condizioni per identificarla in questo modo. Lo stesso cardinale ha detto di ritorno da Kiev che "è una manifestazione di interesse, vicinanza, ascolto". In questo ambito assume grande importanza la motivazione umanitaria. Nell'udienza che Francesco concesse a Zelensky in Vaticano e che probabilmente fu determinante per il via libera alla missione della Santa Sede si parlò di "gesti di umanità nei confronti delle persone più fragili, vittime innocenti del conflitto”. In particolare i bambini ucraini dei territori occupati che sono stati portati in Russia. A Kiev, Zuppi ne ha parlato con il Commissario per i diritti umani del Parlamento ucraino, Dmytro Lubinets. L'arcivescovo cattolico di Mosca, monsignor Paolo Pezzi ha sottolineato come "la visita del cardinale Zuppi e l'impegno umanitario sono due fiammelle che fanno un po' di luce nel buio pesto". La Chiesa cattolica in Russia può svolgere un ruolo importante nell'agevolare il rimpatrio dei bambini ucraini. Monsignor Pezzi ha ricordato in un'intervista al Corriere della Sera che "la mediazione della Santa Sede è l'unica che sia arrivata o ottenere scambi di prigionieri".
Considerata la sua posizione, sono particolarmente significative le parole utilizzate per commentare l'esito della prima tappa della missione di Zuppi quando ha osservato:"Sia da parte di Zelensky sia del Cremlino avevo letto dichiarazioni molto negative intorno a una possibile mediazione. E in una situazione così stagnante, che l'inviato del Papa sia andato in Ucraina e abbia avuto l'ok dal Cremlino per venire a Mosca è un segno che di per sé non va sottovalutato. È un dato in controtendenza, un segnale di porte aperte".
Insomma, i giudizi di chi vive in prima linea la complessità della situazione fanno capire che la missione del cardinale Zuppi è iniziata con il piede giusto. Senza trionfalismi e senza illusioni.
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