Quello "schiaffo" di Pechino che mette il Papa in difficoltà

La designazione unilaterale di monsignor Giuseppe Shen Bin a Shangai fa traballare l'accordo provvisorio tra Cina e Roma caldeggiato da Papa Francesco

Quello "schiaffo" di Pechino che mette il Papa in difficoltà
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Un presule di ritorno dall'Asia aveva confidato che la Chiesa cattolica in Cina è in una gabbia: c'è solo da stabilire quanto essa sia grande. La notizia della nomina del nuovo vescovo della diocesi di Shanghai arrivata questa settimana sembrerebbe confermare quest'andazzo.

Nomina unilaterale

Martedì scorso, infatti, la Santa Sede ha fatto sapere di aver appreso la notizia della decisione delle autorità cinesi di trasferire il vescovo Giuseppe Shen Bin dalla diocesi di Haimen a quella di Shangai. L'ultimo sgarbo, poi, è stato quello di lasciare che la Santa Sede scoprisse l'insediamento del nuovo vescovo dai media, come confermato in una dichiarazione dal direttore della Sala Stampa Matteo Bruni.

Questo schiaffo arriva quattro mesi dopo la protesta pubblica di Roma per un'altra nomina non concordata, quella di Giovanni Peng Weizhao come vescovo ausiliare della diocesi dello Jiangxi - non riconosciuta dalla Santa Sede - con tanto di giuramento che prefissava di "guidare attivamente il cattolicesimo ad adattarsi alla società socialista".

L'accordo tradito

Questa prima forzatura di Pechino era avvenuta poco più di un mese dopo l'ufficializzazione della proroga dell’accordo provvisorio tra la Santa Sede e la Repubblica Popolare Cinese sulla nomina dei vescovi. Un accordo che ha provocato grandi fibrillazioni all'interno della Chiesa perché visto come un cedimento e che, dall'altra parte, non si intende rispettare.

Pur essendo ancora segreto il contenuto dell'intesa, da quanto era trapelato si poteva capire che per la scelta dei vescovi ci si affidasse all'iniziativa dei rappresentanti delle diocesi e quindi con la longa manus dell'Associazione patriottica a cui le autorità cinesi obbligano i cattolici ad iscriversi e che da sempre procede alla nomina di vescovi in contrapposizione con quelli clandestini nominati da Roma. Però, l'accordo firmato per la prima volta nel 2018 includeva anche un ultimo avvallo del Papa alla designazione dei candidati. Il caso di Shangai dimostra, però, che le autorità cinesi non si fanno problemi a non rispettare il probabile contenuto di questo patto.

Il nuovo vescovo

Joseph Shen Bin è il nuovo vescovo di Shanghai. Un nuovo vescovo dieci anni dopo l'elezione ad ausiliare di monsignor Taddeo Ma Daqin che vive da allora agli arresti domiciliari dopo aver annunciato le sue dimissioni dall'Associazione patriottica nel giorno della sua ordinazione episcopale. In quella cerimonia era presente lo stesso Shen Bin che fu uno dei consacranti, mentre il nuovo ausiliare non volle che Vincent Zhan Silù, vescovo ordinato senza il consenso di Roma, gli imponesse le mani. Quest'ultimo, poi, è stato uno dei sette vescovi ordinati illecitamente a cui Francesco ha tolto la scomunica nel 2018.

Shen Bin, dirigente dell’Associazione patriottica e del Consiglio dei vescovi cinesi non riconosciuto dalla Santa Sede, ha sempre lodato l'accordo provvisorio definendolo "un ponte di pace che ha abbattuto un muro durato quasi settanta anni" grazie ai "grandi sforzi di dialogo delle due parti". Nel caso della sua nomina a Shangai, però, una parte ha imposto la sua volontà senza informare l'altra.

Questo flop diplomatico potrebbe costare nuove polemiche interne a Francesco e mettere in difficoltà la stessa Segreteria di Stato che sta gestendo, non senza qualche perplessità, il delicato dossier cinese.

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