Vedova contro museo, Bartali divide anche dopo la morte

Gino Bartali era un uomo che amava la pace, ed è stato un simbolo della riconciliazione. Basti pensare che nel 1948 le sue imprese al Tour de France, poi vinto, contribuirono e non poco ad allentare il clima di tensione che si respirava in Italia dopo l'attentato a Palmiro Togliatti. Eppure, a nove anni dalla sua morte, si è scatenata una vera e propria diatriba fra i suoi familiari.
E il Museo del ciclismo a lui intitolato, a Ponte a Ema, sta per chiudere a causa di un'altra «faida», quella fra l'Associazione Amici del Museo del Ciclismo «Gino Bartali», che lo gestisce, e il Comune di Firenze (oltre a quello di Bagno a Ripoli e alla Provincia), che sono gli enti proprietari dell'immobile che lo ospita. Il clima di tensione, che sicuramente non sarebbe piaciuto a «Ginettaccio» ha spaccato anche la famiglia: è successo che la vedova, la novantenne signora Adriana Bani, spalleggiata dal figlio Andrea, ha citato in giudizio l'Associazione, di cui è presidente onorario un altro suo figlio, Luigi, per sfruttamento dell'immagine, chiedendo un risarcimento danni di due milioni e 400 mila euro, alla stessa associazione e i ai tre sponsor del museo. «Ma questa causa non si spiega - commenta il presidente dell'Associazione Andrea Bresci -: la signora Adriana e Andrea prima propagandavano il museo, e lo dimostrano anche alcune foto in cui partecipano alle nostre iniziative, mentre adesso lo disconoscono».
Fra l'altro alla base degli screzi ci sarebbe anche la questione dei cimeli appartenuti a Bartali e conservati nel museo, che lo stesso Gino ha lasciato tramite testamento all'Associazione ma che la vedova vorrebbe trasferire al museo del Ghisallo. Si discute anche su una bicicletta d'oro di 85 grammi, contesa fra le due parti, ma tutto probabilmente passerà in secondo piano, visto che dal 31 dicembre il museo, già chiuso al pubblico per protesta contro il Comune di Firenze, la Provincia e il Comune di Bagno a Ripoli, dal 17 novembre, chiuderà definitivamente i battenti. Perché scadrà il mandato di gestione concesso dagli Enti Proprietari dell'immobile di Ponte a Ema alla stessa Associazione. Il problema è che il comune di Firenze vorrebbe indire una gara d'appalto, alla quale gli attuali gestori non parteciperebbero: «Perché sarebbe un'offesa nei nostri confronti - spiega Andrea Bresci - che ci siamo impegnati tanto dal 1996 a oggi per arricchire questo museo, oltretutto rispettando le volontà di Gino Bartali. Il comune invece non ha rispettato la convenzione che a suo tempo avevamo firmato, limitando fra l'altro l'uso di una sala a favore di manifestazioni politiche e facendo lievitare i costi di gestione per utenze che noi neanche utilizziamo».


Adesso il futuro del museo è a rischio: sicuramente chi si aggiudicherà la gara d'appalto si ritroverà un immobile vuoto, eventualmente da usare per altri scopi, perchè l'Associazione, che da dopodomani sarà 'abusivà, occupando una struttura non più a lei assegnata, è proprietaria di tutto il materiale conservato nel museo, e come ammette Bresci, «abbiamo già cominciato a inscatolarlo: quando ci diranno di abbandonare la struttura, porteremo via tutto, con la speranza di poter riaprire il museo altrove. Ma stavolta con l'aiuto di un privato». Una brutta storia, che Ginettaccio avrebbe commentato dicendo «è tutto sbagliato, è tutto da rifare».

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