"La vegetariana", il romanzo (del Nobel) diventa pièce

In scena la trasposizione della storia di Han Kang. Regista-interprete Daria Deflorian

"La vegetariana", il romanzo (del Nobel) diventa pièce
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Diciamo la verità, in questi ultimi mesi, il teatro sta ricercando una nuova forma di energia e di ricarica, ricorrendo alla narrativa, si va dalla «Coscienza di Zeno», con Alessandro Haber e la regia di Paolo Valerio, a «Guerra e Pace», opera di Tolstoj. Non poteva mancare il romanzo del Premio Nobel Han Kang: «La vegetariana» (Adelphi), nella versione di Francesca Marciano e Daria Deflorian, protagonista insieme a Monica Piseddu, Paolo Musio, Gabriele Portoghese, in scena alla Triennale da 27 al 29 novembre (info: triennale.org).

Ho visto lo spettacolo all'Arena del Sole di Bologna, nella sala grande, completamente esaurita, come a dire che al pubblico piacciono le trasposizioni di romanzi, specie se abbastanza noti. Daria Deflorian non è nuova nel ridurre romanzi per il teatro, lo aveva fatto con alcune opere narrative di Annie Ernaux, anche lei Premio Nobel, nel 2022, oggi si è cimentata con «La vegetariana», con un adattamento che intende essere fedele al romanzo che affronta il problema di chi ha scelto un proprio modo di vivere, come reazione a una società violenta. Protagonista è Yeong-hye, una giovane donna, considerata dal marito insignificante che, un giorno, sogna una foresta, dove è ubicata una baracca piena di carne appesa, da cui gronda molto sangue. Si tratta, per lei, di un segno premonitore, perché, dopo il risveglio, deciderà di diventare vegetariana. L'autrice utilizza la metafora del sangue per raccontarci come la vita sia fatta di piccole e grandi violenze, simili a quelle della protagonista che ricorda come, la sua infanzia, sia stata caratterizzata da tanti soprusi, dovuti a un padre violento e, dopo il matrimonio, a un marito che non la comprende e che utilizza l'indifferenza come forma di violenza. Come se non bastasse, lei si accorge che la cultura, di cui era imbevuta, non le aveva permesso di addentrarsi nel labirinto delle parole, dentro il quale, si nascondevano atti di violenza, motivo, per il quale, sceglie di astenersi da essa.

Appare evidente che, il suo atteggiamento, non possa essere accettato dai familiari, anche da parte della sorella, interpretata, con molta intensità, dalla Deflorian, alternando la consapevolezza del problema, con l'idea che si possa risolvere. Non è così, perché Yeong-hye, mantiene la sua passività fino alla metamorfosi finale, quando, come l'Ermione di D'Annunzio, della «Pioggia nel pineto», diventerà, anch'essa, un elemento della natura. Nel frattempo, però, ha dovuto subire l'interesse artistico ed erotico del cognato pittore, diventando sua modella, offrendo il suo corpo nudo, alla tavolozza di colori proiettati su di esso, un corpo che dovrà subire anche lo stupro. Con il cognato, Han Kang rimanda alla violenza politica, avendo egli partecipato al massacro di Gwangju, avvenuto a seguito di una rivolta popolare scoppiata, nel 1980 nella Corea del Sud, durante la quale morirono in tantissimi.

C'è una scena grigia, con tre porte e col ricorso a tre colori che scandiscono, a loro volta, le tre parti della messinscena: il rosso, che rimanda al sangue, l'azzurro che rimanda alla macchia mongolica che la protagonista porta, marchiata, sulla coscia, il verde, come l'erba e le foglie degli alberi, che allude alla metamorfosi finale di Yeong-hye.

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