Da Vendola un "bella ciao" superato dalla storia

A Firenze il leader di "Sinistra Ecologia Libertà" intona il canto della Resistenza. dal palco evoca il credo marxista e la fine del capitalismo. La platea lo acclama presidente del movimento e lui santifica lo sciopero generale. Fiero antiberlusconiano studia le mosse del cavaliere per imitarlo

Da Vendola un "bella ciao" superato dalla storia

«Una mattina mi son sveglia­to... ». Nichi conosce il suo po­polo. Sa che questo è l’ingre­diente retorico di cui ha biso­gno. L’orazione dura da diver­si minuti. La platea, laggiù, ai suoi piedi, è calda. Serve un atti­mo di magia. Nichi intona il canto della Resistenza, gioca con il passato, ci mette sopra un tocco di identità pugliese, arrangiando la voce con il sound della taran­ta. «O bella ciao, o bella ciao, o bella ciao, ciao, ciao». Qui, in questa scena finale,c’è tut­to il senso del vendolismo. È questo mix di retorica, nostal­gia, fede, popolo della Fiom, cattolicesimo, comunismo, ecologismo, glocalismo no global, zapaterismo molto più intelligente, berlusconi­smo antiberlusconiano, me­ridionalismo cinematografi­co, monachesimo laico, Sud Sound System, tammurriata nera, una spruzzata di obami­smo e il vecchio caro hard co­re marxista e la fede atavica sulla fine del capitalismo.

Si è appena chiuso il congres­­so di Sinistra, ecologia e liber­tà. Vendola è stato eletto per acclamazione presidente. Il discorso conclusivo è durato un’ora e 22 minuti. Il nuovo leader della sinistra extrapar­lamentare, nel senso che alle ultime elezioni è rimasta a secco, evoca lo sciopero gene­rale, si inginocchia davanti al pensiero di Aldo Moro, si er­ge a santo patrono dei preca­ri, accusa il Pd di subire l’este­tica del naufragio, piange per la cultura depredata da Tre­monti e sogna un’Italia dei migliori. Poi conclude: «Buon lavoro, auguri a tutti voi, auguri a tutti noi!». È qui che parte Bella Ciao . Vendola ti inganna. Vendola è uno che sa raccontarsi. Ven­dola è un romanzo, un’auto­biografia, una parabola, un personaggio che lui stesso si è costruito e raccontato, un vestito nuovo per idee che puzzano di Novecento. Ven­dola è un predicatore, un ven­ditore di vangeli. È affabile, ie­ratico, timido, e comincia a muoversi come se fosse in odore di santità. E questa è la sua forza.

La sinistra che non si è mai rassegnata al tramon­to del marxismo aveva biso­gno di qualcuno che ne incar­nasse tutti i dogmi, ma non le apparenze. Nichi in questo è perfetto. Se Veltroni sogna un Papa straniero, lui è il pon­tefice autoctono della fede rossa. Il suo segreto è che l’anima è antica, e si porta a spasso tutto il furore monasti­co dei monaci anticapitalisti, i filosofi antimercato, gli uto­pisti che in nome dell’egua­glianza riducono l’umanità a una massa senza volto, ma per mettersi sul mercato usa i trucchi dei protagonisti dei re­ality show. Qualche tempo fa un dirigen­te del Pd, durante una cena, disse che con Vendola pre­mier lui sarebbe scappato al­l’estero. Stupore. Ma è così pe­ricoloso? La risposta fu spiaz­zante. «Vendola è un cattoco­munista berlusconiano ». Ber­lusconiano? «Sì, il suo modo di fare politica è berlusconia­no. Il Cavaliere si è racconta­to attraverso le televisioni. Ni­chi oltre alla televisione usa il network di scrittori, intellet­tuali, registi, attori, musicisti che si sentono un’aristocra­zia umana e culturale.

Quan­do Vendola parla di un’Italia migliore pensa a questo. Lui divide il mondo in angeli e de­moni. Magari prova pietà per questi ultimi, ma se non si convertono sono dannati. È per questo che scappo. Non ho alcuna intenzione di con­vertirmi al vendolismo». La verità è che Vendola biso­gna ascoltarlo. Quando andò agli stati generali delle fabbri­che chiamò il suo discorso co­sì: «Le lanterne che illumina­no gli angoli bui dell’esisten­te ». Il senso delle sue parole è tutto in una frase: «Non c’è buona politica che possa pre­scindere da un discorso sul buio e sulla luce». Cosa vuol dire? Questo. Vendola come Bondi scrive poesie, ma lui ha studiato con Dario Bellez­za. È il dna culturale che fa la differenza. E Bondi lo ha tradi­to. Vendola no. Su quel dna ci ha costruito un personaggio, lo ha definito, raccontato, mes­so in scena, regalato alle mas­se come eroe televisivo del­l’antitelevisione. Quando di­ce che la sinistra ha bisogno di narrazione è questo che in­tende. È l’antieroe di un mon­do dove l’immagine è tutto. È un antiberlusconiano che stu­dia Berlusconi. È un parados­so, ma funziona.

Sentitelo: «Berlusconi a quest’Italia co­sì spaventata, regredita, feri­ta offre sogni e paure. I sogni dell’ Isola dei Famosi e le pau­re dell’immigrato. Un mix straordinario. Lo abbiamo demonizzato e non ci siamo accorti che il berlusconismo tracimava nei nostri accam­pamenti. Noi con Berlusconi ci siamo comportati come i li­berali all’inizio del fascismo, schifiltosi nei confronti di quella maschia rudezza da suburbio sottoproletario». Vendola vuole ridare al suo popolo un’estetica, più che un’etica, in cui credere. Bella Ciao è appunto un’operazio­ne di marketing. E non fa nul­la se due anni fa a Sabelli Fio­retti che lo intervistava spie­gava cosa vuol dire oggi esse­re comunista rinnegando ogni nostalgismo: «Evitare qualunque feticcio politico.

Una visione feticistica della politica è quanto di meno co­munista ci possa essere. Mummie, naftalina, asfissia, gulag». Ma ora la sinistra ha bisogno di un Papa. E Vendo­la le vende esattamente quel­lo che vuole: il comunismo nell’era del Grande Fratello.

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