Washington - Se un dinosauro, vivo, si fosse messo a passeggiare per le strade di Caracas avrebbe suscitato pressappoco la stessa sensazione che ha provocato l’ultima «sparata» di Hugo Chavez nel discorso di inaugurazione del suo nuovo mandato presidenziale. Di colpo egli ha recuperato dai musei di paleontologia politica idee, slogan, denominazioni e, quel che è più grave, leggi che nessuno osava nominare più almeno da quando tirò le cuoia l’Unione Sovietica e la Cina imboccò la strada del capitalismo. Chavez ha enunciato il proposito di «nazionalizzare tutto». Tutto quello, per ora, che era stato privatizzato negli scorsi decenni in Venezuela, nel resto dell’America Latina e, se è per questo, un po’ in tutto il mondo. I telefoni sono privati e adesso se li prenderà lo Stato. L’energia elettrica era privata e diventerà pubblica. Il petrolio appartiene a società miste con partecipazione straniera e Chavez lo nazionalizzerà, tutto. La Banca Centrale del Venezuela è, come le sue consorelle in quasi tutto il mondo, autonoma e passerà agli ordini del governo. E così via. Al punto che non si può non concordare con l’oratore quando ha concluso che «stiamo andando verso il socialismo». A una velocità tale che sta per cambiare addirittura il nome ufficiale dello Stato, da Repubblica del Venezuela a Repubblica Socialista del Venezuela e perfino i ministri cambieranno nome, diventeranno «ministri del potere popolare», risfoderando un termine pressappoco modellato sulla definizione leninista di novant’anni fa, già messa in un cantuccio da Stalin: Commissari del Popolo.
Si sapeva che l’idolo di Chavez è Fidel Castro, ma stavolta egli dà l’impressione di essersi stancato di citarlo come modello e avere invece deciso di scavalcarlo, diventando più comunista di lui. Una scivolata d’ala che non si ferma, povero Venezuela, all’economia: come è inevitabile per chi si mette su questa china, Chavez ha preannunciato che chiederà all’Assemblea Nazionale dei «poteri speciali» che gli permettono di effettuare la sua «rivoluzione» senza neanche bisogno di un voto parlamentare sulle singole leggi, ma semplicemente per decreto. Potere che certamente l’Assemblea gli conferirà, per due ragioni: la prima è che Chavez è stato appena rieletto presidente a «valanga», con quasi i due terzi del voto popolare. La seconda è che fra i 167 deputati, non ce n’è neppure uno di opposizione, dal momento che i partiti che compongono quest’ultima avevano deciso di boicottare le ultime elezioni per la Camera.
Chavez si sente dunque autorizzato a rivolgersi direttamente al «suo popolo» e «al mondo». Per spiegare che «questo è un momento essenziale, esistenziale nella vita del Venezuela. Recupereremo la proprietà sociale di tutti i mezzi strategici di produzione con una serie di leggi rivoluzionarie». Che saranno introdotte da una “ley madre”, Legge Madre da cui scaturirà una nuova geometria del potere: da ora in poi il Venezuela sarà governato dalla strada». E chi si permette di criticare il presidente, farà i conti, per cominciare, con la sua capacità di sarcasmo. Dalla puzza di zolfo che, secondo Chavez, Bush si lascia dietro, alla «pura insulsaggine» del segretario della Organizzazione degli Stati Americani, che ha criticato una delle tante statizzazioni di Caracas e che si chiama di cognome Insulza, passando per la «indifendibile ignoranza» in materia di religione del presidente della Conferenza episcopale venezuelana, monsignor Ubaldo Santana e del cardinale Urosa Sabino e cui Chavez ha annunciato che spedirà un «pacchetto di libri da cui imparare qualcosa: Marx, Lenin e la Bibbia, così ci troveranno il Discorso della Montagna».
Il nuovo «sol dell’avvenire» venezuelano non è piaciuto ieri al mercato. Dopo l’annuncio delle nazionalizzazioni c’è stato un «fuggi fuggi» degli investitori. L’indice azionario di Caracas, che ha aperto in discesa del 6%, è poi crollato a meno 15%. E non si è fatta attendere neppure la reazione di Washington. L’«acerrimo nemico» George W. Bush ha annunciato che «le società americane dovranno essere risarcite».
Nell'infuocato discorso di incoronazione, Chavez ha anche presentato i dodici ministri del suo nuovo governo, due dei quali debuttanti. È cambiato anche il vicepresidente del Consiglio: il giornalista Josè Vincent Ranger è stato sostituito da Jorege Rodriguez: di professione psichiatra.
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