A vent’anni dalla guerra di Segrate l’Ingegnere e Confalonieri fanno pace

nostro inviato a Bergamo

Un evento e una notizia. Il primo, a vent’anni di distanza dalla «Guerra di Segrate» per il controllo della Mondadori, è la fotografica e telegenica stretta di mano tra due protagonisti di allora: Carlo De Benedetti e il presidente di Mediaset Fedele Confalonieri, com’è noto all’epoca dei fatti l’un contro l’altro armati. Sarà stata forse un po' complice l’atmosfera del luogo, il centro congressi Giovanni XIII, il Papa buono, sta di fatto che dopo vent’anni quella stretta ci stava tutta, perlomeno tra gente di mondo.
La notizia, emersa pure quella all’apertura del 26° Congresso nazionale della stampa, è invece che l’Ingegnere e il «Fidel», oggi ai vertici di due dei maggiori gruppi editoriali - gruppi imprenditorialmente, ma soprattutto politicamente avversi - si sono trovati d’accordo su tutto. Su due punti in particolare. Il primo è che il futuro dell’industria dei media passerà, anzi sta già passando, dal matrimonio tra la carta stampata e i moderni strumenti digitali. Il secondo è che i giornalisti (vil razza viziata; non è stato detto proprio così, ma se ne è intuito il pensiero) dovranno adattarsi a questa verità. Volenti o nolenti. E senza chiedere bonus in busta paga.
«Penso che i giornali non moriranno, ma non stanno per nulla bene. Dev’essere chiaro a noi editori e a voi giornalisti», ha esplicitato De Benedetti, ricordando poi a questi ultimi che anziché chiedere più soldi per lavorare anche sul Web «dovrebbero ringraziare gli editori che danno loro la possibilità di essere visibili su una pluralità di piattaforme». L’Ingegnere si è però anche affrettato a smentire quelle che ha definito «due oscene profezie di moda a inizio millennio». Ovvero che Internet avrebbe «spazzato via i giornali di carta» e che i giornalisti «non sarebbero stati più necessari».
Come sgombrare via le nuvole nere da un orizzonte editoriale comunque oscuro? «Innovare, innovare, innovare», ha scandito convinto, quasi a riecheggiare il tre volte ribadito «Resistere» dell’allora procuratore generale di Milano, Francesco Saverio Borrelli, ai giudici nell’inaugurazione dell’anno giudiziario del 2002. Anche perché, se nel scorso secolo la rivoluzione tecnologica si accontentava di lassi di tempo di mezzo secolo, oggi siamo scesi al biennio. Con la conseguenza che «l’innovatore timido perderà sicuramente», ha concluso il presidente del Gruppo Espresso.
«I nostri giornalisti devono diventare multimediali e digitali. Non solo chi fa tv, ma anche chi fa carta stampata», ha confermato Confalonieri difendendo inoltre l’importanza di quel lavorare «gomito a gomito di giornalisti e star televisive» che forse fa storcere il naso a qualcuno, ma che invece «arricchisce il nostro prodotto tv».
Tutto questo «richiede flessibilità, ma anche disponibilità a una formazione professionale continua», ha ammonito il numero uno di Mediaset, rivendicando come «con i nostri sindacati abbiamo fatto cose molto importanti (in azienda, ndr) perché hanno capito il momento».


In proposito, Confalonieri ha voluto ricordare, mettendolo a negativo confronto, il «clima fortemente ideologizzato delle trattative sindacali degli anni Ottanta, quando ero amministratore delegato del Giornale e Indro Montanelli, che sarebbe diventato in seguito un’icona della sinistra, era considerato un fascista».
Un monito, Confalonieri lo ha rivolto però anche «ai celoduristi aziendali, ai tagliatori di teste, perché razionalizzazioni e tagli non possono arrivare all’osso. Altrimenti in azienda non si lascia più nessuno».

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