La vera rivoluzione della fantasia. Tolkien, lo scrittore dei valori eterni

Il primo oggetto in mostra, appena entrati, è un vecchio baule di legno

La vera rivoluzione della fantasia. Tolkien, lo scrittore dei valori eterni

Il primo oggetto in mostra, appena entrati, è un vecchio baule di legno, quello che la madre di John Ronald Reuel Tolkien, Mabel Suffield, portò con sé quando, da Bloemfontein, nello Stato Libero dell'Orange, oggi Repubblica sudafricana, tornò in Inghilterra, destinazione Birmingham. Era il 1895, Tolkien aveva tre anni, suo padre sarebbe morto da lì a poco, e in quel baule c'era tutto quello che gli sarebbe servito. La famiglia, gli affetti, i libri, la memoria. Si chiama Tradizione.

Signore della Tradizione e degli Anelli, studioso profondissimo delle lingue, della Storia, del Medioevo e dei poemi antichi, John Ronald Reuel Tolkien forse il romanziere più letto di qualsiasi altro nella storia della letteratura - creò un mondo e, a sua volta, un'epica, ma moderna. Amato da moltissimi lettori, al di là della destra e della sinistra, il Professore di Oxford è amato da tutti, e non è di nessuno. Ecco perché è un classico. Cosa che basta e stra-avanza per dedicargli, a cinquant'anni dalla morte, una grande mostra che soltanto chi è ancora incatenato a un dibattito politico rimasto fermo all'epoca missina - «Un Anello per domarli, un Anello per trovarli, un Anello per ghermirli e nel buio incatenarli» può continuare a schiacciare sul terreno fangoso dell'Ideologia. Tolkien ha bisogno di geografie più ampie, inesistenti, come la Terra di Mezzo.

È vero: la Meloni è al Governo, ma al Potere qui - è la Fantasia.

Scrittore fantastico, conservatore, cattolico, anticomunista e antifascista, Tolkien ha conosciuto «un successo universale, dai valori eterni», come ha spiegato il ministro Gennaro Sangiuliano: «Questa è una mostra che ho fortemente voluto perché credo nei valori morali difesi da Tolkien: quelli della comunità, della solidarietà, della identità dei popoli, dell'umano contro una certa modernità disumanizzante che tenta di annichilire l'Uomo in un universo indistinto». Ah, Giorgia Meloni, per la cronaca, alla mostra è stata in visita privata: «Una bella pagina di cultura» ha detto. E comunque, alla inaugurazione ieri sera c'era un intero Campo Hobbit: Umberto Croppi, Flavia Perina, persino Osho e Pino Insegno, la voce italiana di Aragorn...

Ed eccola, la mostra. Benvenuti alla Galleria nazionale di Roma per Tolkien. Uomo, Professore, Autore che inaugura oggi, fino all'11 febbraio 2024. Otto mesi di lavoro, un curatore, Oronzo Cilli, un co-curatore, Alessandro Nicosia, due consulenti (Adriano Monti Buzzetti e Giuseppe Pezzini), un costo di 250mila euro, 600 metri quadrati su due piani di museo, tre sezioni, 1.300 pezzi esposti fra libri (circa 800), fotografie (tra cui quelle dell'infanzia, della famiglia e dei suoi viaggi in Italia, Paese che amava), lettere, filmati, documenti, decine e decine disegni e illustrazioni (tutta l'arte che Tolkien ha generato per mezzo secolo), locandine di film (ma lo sapete che già Ringo Starr e Paul McCartney volevano girarne uno tratto dal Signore degli Anelli?, ma poi Tolkien, che non amava molto i Beatles, e neppure Disney se è per questo, declinò...), video, fumetti, parodie, citazioni (da Tex a Nathan Never), giochi di ruolo... Un universo pop dentro un universo mitico.

C'è la ricostruzione perfetta dello studio di Tolkien, ci sono mappe della Terra di Mezzo con gli spostamenti dei vari personaggi proiettate sul pavimento, ci sono le frasi di ammirazione di insospettabili «tolkieniani» (Barack Obama, Stephen King, Isaac Asimov, Papa Bergoglio...) e c'è un'intera parete con una scelta tutte non ci sarebbero mai state delle edizioni del Signore degli Anelli nelle diverse lingue del mondo, vietnamita e latino compresi.

Niente propaganda, solo letteratura; molto filologica e per nulla ideologica, la mostra Tolkien. Uomo, Professore, Autore è scientifica, ricca, curiosa, e sta al pari di quelle allestite a Oxford (2018), Parigi (2020) e Milwaukee (2022), con pezzi mai esposti prima che arrivano da musei e collezioni private, inglesi, americane, italiane...

Tra i pezzi unici in mostra, ne scegliamo tre, con l'aiuto del curatore Oronzo Cilli, che ci accompagna nel percorso, fra gigantografie del Professore, prime edizioni irraggiungibili (quella inglese di The Lord of the Rings in tre volumi, 1950-55, valore stimato 50mila sterline) e un flipper a tema, di quelli che furoreggiavano nei bar dopo il successo globale dei film di Peter Jackson. Comunque, eccoli i tre pezzi imperdibili. Le prove di copertina per la prima edizione del Ritorno del re con le annotazioni a mano di Tolkien. Un libro sulla storia dei Papi, dedicato, che il Professore regalò alla figlia la quale poi lo donò al curatore della mostra (ovviamente c'entra il valore affettivo). Una copia dello Hobbit del 1937 firmata da Tolkien e dedicata a una sua studentessa, Simonne d'Ardenne, che poi divenne un'amica di famiglia.

In più, e lo aggiungiamo noi, il dattiloscritto originale con il parere di lettura datato 8 ottobre 1962 con cui Elio Vittorini per Mondadori boccia l'idea di pubblicare Il Signore degli Anelli: «Una ristrutturazione più che costruzione. Il successo del tentativo richiederebbe la forza di un vero e proprio genio (che Tolkien dà prova di non essere) e la convalida di una attualità, ma ciò non si verifica affatto». Attualità, appunto. Cosa poteva interessare all'intellighenzia dell'epoca di un romanzo che non parlava di lotta di classe, di materialismo dialettico, di realismo antiborghese? (e poi dicono che la destra se ne appropriò...).

Come poi è andata, editorialmente parlando, si sa. In Italia la prima pubblicazione della saga, peraltro parziale, avvenne nel 1967, quando la casa editrice Astrolabio di Mario Ubaldini uscì col primo tomo, La Compagnia dell'Anello, nella traduzione di Vittoria Alliata di Villafranca. Fu un mezzo insuccesso. Tanto che l'editore decise di non pubblicare gli altri due volumi. Solo nel 1970 la Rusconi, su consiglio di Alfredo Cattabiani, stampò finalmente il romanzo completo, con un'introduzione di Elémire Zolla, una traduzione limata e rivista dal curatore Quirino Principe e la copertina, destinata a diventare di culto, di Piero Crida.

Dopo, fra l'Unità che stroncava il romanzo, Lotta continua che citava Tolkien, i dirigenti del Pci che dicevano ai loro «ragazzi» di non leggerlo, gli Indiani metropolitani che lo

adoravano tanto quanto i missini, e Giorgia Meloni che aveva cinque mesi quando fu organizzato il primo Campo Hobbit (per dire la pretestuosità di certe critiche), la storia è nota.

In quanto a Tolkien, lui preferiva le leggende.

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