Verdi, che Maestro nel dirigere le sue finanze

Nel 1888, Verdi, che in base ai conteggi del ministero delle Finanze del 1889 risultava il quinto maggior contribuente italiano, iniziò ad appuntarsi su un particolare taccuino ogni sorta di spesa, entrate e uscite

Verdi, che Maestro nel dirigere le sue finanze

Il periodo dal 1887 al 1893 fu, per Giuseppe Verdi, l'arco entro il quale portò in scena le sue due ultime opere: Otello e Falstaff. Si trattò, dunque, di anni nei quali, congedandosi dai palcoscenici, l'anziano maestro non poté più contare sugli introiti derivanti da nuovi titoli. Così, nel 1888, Verdi, che in base ai conteggi del ministero delle Finanze del 1889 risultava il quinto maggior contribuente italiano, iniziò ad appuntarsi su un particolare taccuino ogni sorta di spesa, entrate e uscite: iniziò, dunque, a fare di conto e a controllare i suoi flussi di cassa. Questo particolare taccuino composto da un'ottantina di pagine è oggetto della ricerca coordinata da Giuseppe Martini che l'ha pubblicato in Il taccuino finanziario di Giuseppe Verdi (Egea, pagg. 354, euro 38) dopo che Corrado Mingardi, appassionato verdiano e storico direttore della Biblioteca del Monte di Pietà di Busseto, l'ha individuato e segnalato a Casa Verdi di Roberto Ruozi.

Verdi, il 1° gennaio 1888 inizia il taccuino con una «dichiarazione di tutto il mio avere oggi»: 1 milione e 452mila lire tra immobili, macchinari e animali e 1 milione e 400mila lire in cartelle, azioni e depositi. Per ogni mese, il compositore provvedeva a segnare i «denari in cassa» e le spese concludendo i conteggi: «Quindi in tutto il mese di ... furono spesi», «Quindi la spesa di tutto ... fu di». Ad ogni 1° gennaio, il conteggio di fondi, immobili, beni e cassa ripartiva. Il libro, dopo la riproduzione anastatica del taccuino con la trascrizione a fronte dal quale, come scrive il curatore, «emerge un profilo di gestione finanziaria privata che in Italia si poteva considerare eccezionale», gode di tre saggi integrativi.

Nel primo, Ruozi analizza il patrimonio di Verdi, incrementato nel tempo anche grazie a prezzi sempre più alti richiesti per le sue opere; nel secondo, Filippo Annunziata si concentra sulle royalties incassate dalla Francia; infine, Maria Pia Ferraris estrapola dal taccuino la quotidianità tra il compositore e i Ricordi, suoi editori. Il taccuino finanziario testimonia, una volta di più, l'inesauribile fonte dell'arte e della biografia verdiana.

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