Si parla troppo spesso del fondamentalismo islamico senza reale cognizione di causa delle origini storiche di questo fenomeno che, come un agente patogeno dormiente per molti decenni, ha rivelato dopo l11 settembre tutta la sua virulenza e linsospettata estensione del suo contagio ormai propagatosi dal Medio e allEstremo Oriente, allAfrica sahariana e tropicale, allAsia centrale, allEuropa. Della genesi di questa «pandemia islamista» ci offre invece unanalisi accurata Il fondamentalismo islamico dal 1945 (Salerno, pagg. 220, euro 18) di Beverley Milton-Edwards, docente di Politica e relazioni internazionali allUniversità di Belfast.
Nel suo saggio, Milton-Edwards sceglie un approccio freddo, rifiutando lanalogia tra il nuovo fondamentalismo e quello che diede vita alle grandi ondate di proselitismo armato che, nel nome della Jihad, si riversarono sullEuropa e sullIndia nei secoli passati. È delloggi, infatti, che Milton-Edwards ci vuole parlare. Di un «qui e ora» che prese vita subito dopo la conclusione del secondo conflitto mondiale, quando il crollo dellequilibrio geopolitico anteriore al 1939 fornì ampio spazio di manovra alla predicazione di leader come il pakistano Abdul Ala Maududi, gli egiziani Hassan-al-Banna e Sayd Qutb, fortemente influenzati dalla teologia radicale del wahabismo saudita e dellortodossia salafita. Furono questi i profeti che concepirono il progetto di mobilitare le masse musulmane in una guerra santa che avrebbe dovuto portare alla rinascita spirituale di tutto il mondo islamico, per restituirgli «unidentità coesa e separata in grado di rispondere alla sfida economica, politica, culturale del mondo occidentale». Proprio allora, sostiene Milton-Edwards, lEuropa e gli Stati Uniti persero loccasione di neutralizzare questo movimento, concedendo il loro sostegno a regimi musulmani moderati che, pur disposti ad adottare una politica di riformismo modernizzatore, mantennero in vita un sistema di autocrazia familista.
Il precipitare della situazione internazionale, tra 1979 e 1995, permise al fondamentalismo di operare un ulteriore salto di qualità e di trasformarsi in un movimento a base internazionale. Lafflusso di volontari provenienti dai diversi Paesi islamici nelle fila dei mujaheddin afghani e dei musulmani bosniaci fornì loccasione per la nascita delle grandi centrali terroristiche di Al Qaida, del Fath al-Islam libanese, della Jamaa al-Islamia algerina. Questi gruppi trovarono infine il terreno più propizio per estendere il loro radicamento nei disastrosi effetti della globalizzazione economica, che lautrice presenta come «la fase suprema dellimperialismo economico occidentale».
In questultimo punto la lucidità dellanalisi della studiosa britannica rischia di appannarsi, specie se si pensa alle conclusioni di un altro suo saggio, Islam and Violence in the Modern Era, del 2006), dove si arriva addirittura a dare una ragione alla violenza dellislamismo, sostenendo che «per molti musulmani non è possibile mutare con altri mezzi un mondo in cui si rifiutano di vivere». Presentare il terrorismo fondamentalista come l«ultima e più progredita fase della lotta delle plebi del Terzo Mondo contro i loro sfruttatori», non è una spiegazione sufficiente. Più giusto sarebbe inserire questo fenomeno nella dinamica del nuovo «Grande Gioco» di concorrenza politica, la cui posta è il controllo economico e strategico del Medio Oriente e dellAsia centrale da parte di Russia, Stati Uniti, Cina e delle nuove potenze emergenti di Iran, India, Pakistan.
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