Eccola, la mano nervosa di Giacomo Puccini che sulla partitura originale de La Bohème scrive, cancella, annota, disegna (persino il simbolo di un teschio vi si riconosce). Insieme ad altri bozzetti l'abbiamo osservata da vicino, grazie alla disponibilità dell'Archivio Storico Ricordi, per capire quanto sia stata tortuosa e tormentata la gestazione del più grande blockbuster della lirica. La partitura manoscritta è esposta nella suggestiva Sala Maria Teresa della Biblioteca Nazionale Braidense di Milano perché è lì che la Fondazione Arena di Verona ha presentato ieri il nuovo progetto speciale della centounesima edizione del Festival per celebrare il genio di Puccini (1858-1924), a un secolo dalla sua morte. Per due serate, il 19 e il 27 luglio, andrà in scena nel suggestivo anfiteatro di Verona una Bohème fedele a sé stessa, eppure contemporanea.
Universalmente riconosciuta come «l'opera perfetta» per l'irripetibile combinazione di sentimento e umorismo e per quella «gelida manina» che tutti abbiamo canticchiato o orecchiato, La Bohème torna all'Arena dopo tredici anni con un nuovo allestimento che affida a Guillermo Nova la scenografia e ad Alfonso Signorini, qui al suo debutto veronese, la regia. «Non sarà La Bohème di Signorini, ma La Bohème di Giacomo Puccini», dice subito il giornalista e scrittore, profondo conoscitore, con diverse regie al suo attivo, dell'opera lirica. «Entro sul palco dell'Arena in punta di piedi non per una finta umiltà che non mi appartiene, ma perché la musica di Puccini contiene già tutto in sé precisa -. Non dimentichiamo che il grande maestro è stato uomo di spettacolo, conoscitore e curioso di tutto, un precursore delle avanguardie musicali. Lui stesso dà già precise indicazioni di regia che ritengo vadano rispettate».
Sulle orme di Puccini, Signorini punta tutto sulla trasparenza: «Abbiamo immaginato un impianto scenico trasparente che consentirà allo spettatore di avere più campi visivi contemporaneamente, permettendo anche alle parti tradizionalmente nascoste di svolgersi sul palco», continua Alfonso Signorini. Vedremo, ad esempio, la camera di Mimì («una giovane spensierata e non certo angelicata, così simile a tante ragazze di oggi») e i nostri occhi si potranno spostare anche sulla vicina mansarda di Rodolfo e dei suoi amici così come, nel secondo atto, osserveremo il Café Momus, dove si festeggia il Natale mentre Musetta si dedica agli acquisti nei dintorni. «Di solito l'opera mostra il singolo atto, qui allargheremo lo sguardo, come si fa in tv e al cinema: questo ci permetterà di approfondire anche la psicologia dei personaggi di un'opera che, ambientata nella Parigi dell'Ottocento, resta attuale. Pensiamo solo a quanto la parola stessa bohemienne sia ancora usata», conclude Signorini.
Con 78 recite all'attivo lo ricorda Cecilia Gasdia, già soprano e ora sovrintendente della Fondazione Arena - La Bohème è tra i titoli più programmati a Verona e ha potuto contare sulla partecipazione di interpreti notevoli (Tebaldi, Pavarotti giusto per citarne un paio). Questa volta il maestro Daniel Oren dirige l'orchestra della Fondazione Arena di Verona e il coro, con un cast internazionale che vede, tra gli interpreti, il tenore Vittorio Grigolo nei panni del poeta Rodolfo, il baritono Luca Micheletti in quelli del pittore Marcello e, entrambe al loro debutto al Festival, il soprano armeno Juliana Grigoryan nel ruolo di Mimì e la toscana Eleonora Bellocci in quello di Musetta.
Un'opera intima in uno spazio grande e connotato come quello dell'anfiteatro scaligero è una sfida non da poco, ma anche il modo migliore,
secondo il sottosegretario alla Cultura Gianmarco Mazzi, per onorare i cento anni della morte di Puccini e «celebrare la pratica del canto lirico quale patrimonio immateriale dell'umanità da poco riconosciuto dall'Unesco».
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