Al vertice di Bruxelles dopo una giornata di confusione e colpi bassi i negoziati sul Trattato costituzionale si sono fatti improvvisamente più difficili Braccio di ferro fra europeisti ed euroscettici Varsavia minaccia di nuovo il veto e la Merkel propo

Sempre più gravi le divisioni sul futuro della Ue. Si tratta per tutta la notte ma il compromesso è ancora lontano Blair unico soddisfatto

Al vertice di Bruxelles dopo una giornata di confusione e colpi bassi i negoziati sul Trattato costituzionale si sono fatti improvvisamente più difficili Braccio di ferro fra europeisti ed euroscettici Varsavia minaccia di nuovo il veto e la Merkel propo

nostro inviato a Bruxelles
A un centimetro tanto dal successo che dal fallimento. Nella notte, ai piani rialzati del palazzone che ospita capi di stato e di governo dei 27, continuavano a rincorrersi voci antitetiche. Ora più orientate ad una intesa che avrebbe permesso ad Angela Merkel di volare felice a Berlino, con in tasca il frutto maturo del suo semestre di guida. Ora più pessimiste, col rischio di dover ricominciare tutto da capo a guida portoghese, con Lisbona per nulla soddisfatta di trovarsi a dover mettere le mani su un groviglio di questioni che rischiano tra l'altro di aumentare col passar del tempo.
Erano le 24 quando le previsioni tornavano a indicare tempesta, dopo un intesa in extremis coi polacchi, minacciati di esclusione dai lavori della conferenza intergovernativa che dovrà tradurre in trattato le decisioni assunte ieri. A Varsavia erano state concesse, via via, un peso specifico maggior nel poter bloccare accordi, poi il diritto di legiferare senza interferenze comunitarie sui temi della famiglia e quelli etici. Niente da fare: dalla capitale polacca, il premier Jaroslav bloccava il gemello Lech Kaczynski ed annunciava dalla tv: «Metteremo il veto».
A quel punto, dopo telefonate allarmate di Blair e Sarkozy al ribelle, la Merkel sbottava e faceva comunicare che alla Cig si sarebbe andati in 26, senza i polacchi. Era già successo nell'85 quando a Milano, davanti alle resistenze della Thatcher, Craxi e Andreotti decisero di fare a meno degli inglesi. Ma a quel punto - forse anche grazie a rassicurazioni sul problema energetico, visto che i polacchi si lagnano di esser stati tagliati fuori dal gasdotto russo-tedesco - il presidente Lech, cedeva le armi. Tutto a posto? Manco per idea. Una dozzina di Paesi firmatari della Costituzione dalla prima ora, cominciava a lamentare con la cancelliera i «troppi cedimenti» agli euroscettici. Agli olandesi erano andati i maggiori poteri reclamati per i parlamenti nazionali contro le decisioni assunte a Bruxelles e a Strasburgo. Blair, si apprestava a lasciare Bruxelles con un bel bottino: niente ministro degli Esteri Ue ma solo un «alto rappresentante per la politica estera e la sicurezza»; politica internazionale decisa sempre all'unanimità e, ancora, piena assicurazione per Londra che mai sarà discusso del suo posto nel consiglio di sicurezza dell'Onu. Né era tutto: in tema di politiche sociali e giuridiche, la Gran Bretagna si chiamava fuori con l'opt out. Farà come da sue tradizioni senza andare a impegolarsi con le normative europee.
Di fatto la Merkel, ansiosa di ottenere il suo risultato, aveva concesso troppo alle «linee rosse» tracciate da Blair, Balkenende, e dai Kaczynski alla vigilia del summit. Che fosse da trovare un compromesso era da mettere in conto. Ma un risultato di quel tipo, appariva a parecchi Paesi - Spagna, Italia, Ungheria, Grecia, Malta, Belgio, Austria e Lussemburgo - non una mediazione, ma una resa. Aggravata tra l'altro da una ulteriore concessione a Sarkozy: il quale, a sorpresa, aveva tirato fuori dal suo cilindro l'eliminazione dal trattato della «concorrenza libera e leale», per proteggere da voraci mani straniere i servizi pubblici ritenuti essenziali da Parigi. Barroso e i commissari e in parte anche Londra, hanno accolto con non poco allarme la richiesta. Alla fine - visto che Londra aveva incassato del suo - è passata l'idea di cancellare il passaggio previsto nel trattato ma di infilarlo in un protocollo a latere, così da soddisfare un po' tutti. Anche se bisognerà vedere cosa ne penserà la magistratura europea che non potrà non constatare che in un summit un riferimento di quel tipo è stato fatto fuori.
Sembrava si fosse al sospirato traguardo, ed erano già le 20. Quando i polacchi, dopo aver evocato i loro martiri di guerra per ottener maggior potere e dopo aver negato a lungo di contentarsi di poter costituire minoranza di blocco in modo più agevole di quanto previsto (grazie alla clausola di Ioannina del '94 per cui anche pochi Paesi possono costringere a rivedere norme a loro non gradite), tornavano all'improvviso all'attacco. Dicevano sì al sistema del doppio voto (55% dei Paesi col 65% dei cittadini europei) ma pretendevano entrasse in vigore solo nel 2016 e non nel 2014 ipotizzato dalla Merkel al posto del previsto 2009.


Brusca frenata, minacce di veto, cartellino rosso sventolato dalla Merkel sotto il naso del gemello presidente (con cechi e lituani che però si schieravano con Varsavia). Poi l'intesa. Fatta, allora? Per nulla. Ecco gli europeisti più convinti che non ci stanno più. Riprendeva a tessere la tela, Angela Merkel, cercando l'alloro. Ma sapendo di essere anche ad un passo dall'inferno.

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