Al vertice Ue di Lisbona è battaglia L’Italia rischia di uscirne umiliata

Vogliono toglierci sette eurodeputati e la Spagna ne vuole 4 in più. Prodi è incerto se porre il veto

nostro inviato a Lisbona

José Manuel Durao Barroso, giocando in casa, si sente o si finge tranquillo: «Capisco la posizione italiana - fa sapere prima di approdare sulle rive del Tago -, ma ho parlato con Prodi e sono certo che non bloccherà il trattato di riforma a lungo atteso. Una qualche soluzione la si troverà…».
Ma non è mica l’unico ostacolo, la protesta italiana per l’affossamento della parità con Francia e Gran Bretagna nell’Europarlamento che deve temere il presidente della commissione. Giusto ieri sera la Spagna, tramite il ministro per gli Affari Ue Alberto Navarra, ha detto di pretendere almeno quattro eurodeputati in più e ha precisato che il numero degli eurodeputati e il trattato sono da varare assieme. I polacchi, dal canto loro, continuano a fare le bizze (forse anche perché domenica da loro si vota per le politiche).
Gordon Brown arriverà al vertice più che accigliato: nei sondaggi ha subito un brusco calo di consensi la scorsa settimana e i conservatori - ma anche i sindacati inglesi - sono furenti all’idea che possa accettare il nuovo trattato, che loro considerano una vera e propria Costituzione, senza poi sottoporlo a referendum in casa, giustificandosi col fatto che ha ottenuto numerosi opt-out, e cioè la libertà di dissociarsi dalle regole comuni europee.
Non è tutto: questa conferenza intergovernativa (Cig) di Lisbona, pare esser divenuto l’appuntamento in cui, in cambio del proprio sì al trattato, tutti avanzano richieste e pongono pedaggi. I bulgari ce l’hanno con l’euro, gli austriaci vogliono numeri chiusi agli stranieri nelle facoltà di medicina, i belgi sono paralizzati dalla mancanza di un governo. Ce n’è per tutti in un momento in cui servirebbe il massimo dell’unità.
La posizione più dura - almeno a parole - resta comunque quella italiana. «Non si tratta di porre veti ma di rispettare i trattati dove si parla di cittadinanza e non di residenza!» è tornato a dire Romano Prodi, confermando i sussurrii trapelati da palazzo Chigi secondo i quali il premier vorrebbe il sì al trattato ma rinviando a dicembre od oltre la risistemazione dell’Europarlamento a 750 seggi (attualmente 783). Confida il governo di Roma - coadiuvato da un voto bipartisan del Senato giunto ieri, col quale s’impegna il governo «a non cedere a decisioni che alterino gli equilibri previsti nel trattato» - nella capacità di manovra della presidenza portoghese, ma sono tanti i Paesi, proprio con Lisbona in testa, che fanno sapere come trattato ed Europarlamento «sono un pacchetto unico» da prendere o lasciare.
Veto o non veto, questo il problema per Prodi e D’Alema, accusati tra l’altro di aver dato il loro via libera a giugno e di averci ora ripensato per le pressioni politiche interne. Pressioni che oggi comunque mancheranno. Visto che nei summit dei partiti che solitamente precedono la Cig, mancheranno i rappresentanti del centrodestra italiano. Non ci sarà Berlusconi (sostituito da Tajani), ma neanche Casini all’appuntamento dei popolari. E mancherà anche Sarkozy, che limiterà la sua presenza al vertice dei capi di Stato e di governo.

Sarà anche per questo che il vecchio Mario Soares, già premier e presidente portoghese, ha rilasciato giusto ieri una intervista in cui attribuisce le attuali difficoltà europee alla carenza di leadership in troppi Paesi. «Una volta - ha raccontato - c’erano Kohl e Mitterrand, mentre ora...».

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