«In cuor mio io bevvi alla salute della giovane Armenia con le sue case di pietra color dell'arancia, ai suoi commissari popolari dai candidi denti, al sudore e allo scalpiccio equino delle persone in coda, e alla sua possente lingua in cui siamo indegni di parlare e, nella nostra possente debolezza, possiamo soltanto fare scongiuri»: così, nelle prime pagine dei suoi taccuini, narrazione pubblicata per la prima volta nel 1933 sulla rivista di Leningrado Zvezda (La stella), il poeta e saggista russo Osip Mandel'tam (foto) celebra quel Viaggio in Armenia (Adelphi) che gli venne imposto, a quarantadue anni, allo scopo di dimostrare la propria affidabilità al potere di Stalin. Fu con la pubblicazione del Viaggio prima ancora dell'«Epigramma a Stalin», definito «il montanaro del Cremlino», per cui fu incriminato che Mandel'tam, morto nel 1938 in un gulag, si consegna nelle mani dei carnefici. Anche per questo domani, tra gli appuntamenti più importanti di Le parole di Hurbinek - il festival ideato e diretto a Pistoia da Massimo Bucciantini, focalizzato intorno alla Giornata della Memoria del 27 gennaio e che quest'anno dedica l'edizione alla parola «razza» (per info: leparoledihurbinek.it) è in programma lo spettacolo teatrale Viaggio in Armenia appunto (spazio Il Funaro, 20.45).
Il genere «diario di viaggio» si presta, grazie all'adattamento e riduzione di Silvio Castiglioni (anche in scena) e Giovanni Guerrieri (anche regista) della compagnia I Sacchi di Sabbia, a divenire metafora di diserzione oltre che della politica (tradendo le aspettative del regime committente) anche dello stereotipo culturale. Tempo, memoria, morte, linguaggio, ma anche iniziazione, esoterismo, antibiografismo e spiritualità dell'essere insieme sono le parole in cammino insieme a Mandel'tam in scena, in una costante evocazione di un passaggio dei taccuini: «Non c'è nulla di più istruttivo e gioioso dell'immersione in una comunità di esseri umani di tutt'altra razza, razza che rispetti, con cui simpatizzi, di cui vai fiero pur non appartenendole.
La pienezza vitale degli Armeni, la loro rude affabilità, le loro nobili ossa lavoratrici, l'inesprimibile disgusto per qualsiasi metafisica e la splendida familiarità con il mondo delle cose reali tutto questo mi diceva: sei ancora lucido, non temere il tuo tempo, non fare il furbo».
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