Roma - Nuovo braccio di ferro tra magistratura e governo. Da un lato l’Associazione nazionale magistrati che difende l’operato dei colleghi romani in merito alla scarcerazione dei fermati per gli scontri nel centro di Roma del 14 dicembre scorso. Dall’altro i ministri Maroni e Alfano. Il primo, responsabile dell’Interno, riferendo all’assemblea di Palazzo Madama ha preso le distanze dalla decisione della Procura di Roma. «La scarcerazione dei 23 fermati per gli scontri - spiega il ministro - è una decisione che rispetto ma che non condivido». Secondo Maroni i fermati hanno, infatti, la possibilità di reiterare le violenze. «Logico sarebbe stato mantenere per loro misure restrittive». Il suo collega Angelino Alfano ha invece deciso di inviare gli ispettori a piazzale Clodio per verificare la correttezza dell’operato della magistratura. L’iniziativa del Guardasigilli non è piaciuta all’Anm che in un comunicato parla di «indebita interferenza» e arriva addirittura a prevedere che quest’azione possa «pregiudicare il regolare accertamento delle responsabilità». La risposta di Alfano non si fa attendere. «Invito l’Anm - replica il ministro - a non trincerarsi dietro un sindacalismo esasperato che difende sempre e comunque i magistrati. Il mio dovere è di stare dalla parte dei cittadini anche quando non sono togati». E comunque, precisa il Guardasigilli ai microfoni di SkyTg24, «non ho espresso un giudizio preventivo sui magistrati che hanno preso quella decisione». Al suo fianco, Alfano trova il collega di governo Ignazio La Russa. Confessando tutta la sua amarezza per la scarcerazione dei giovani fermati il 14 scorso, il ministro della Difesa conferma: «Bene ha fatto Alfano a voler vederci chiaro inviando gli ispettori anche se può benissimo essere che a norma di legge i magistrati non avessero altra scelta».
Al di là del botta e risposta tra il Guardasigilli e i giudici, continuano a pesare le considerazioni espresse a caldo da molti esponenti dell’opposizione sull’operato delle forze dell’ordine. Riferendo in Senato, Maroni bolla come «illazioni offensive» le ipotesi di «infiltrati» tra le forze dell’ordine ed esprime il timore che la decisione delle toghe possa dare «ai violenti la possibilità di reiterare» le loro gesta, visto che mercoledì prossimo sono previste altre manifestazioni in concomitanza del voto definitivo sulla riforma Gelmini.
Nella sua informativa al Senato Maroni sottolinea l’inedito scenario proposto dalla manifestazione di martedì scorso. «Le scene di gratuita violenza urbana che abbiamo visto - spiega il ministro - non possono essere considerate degenerazioni violente di pacifici cortei di protesta. I manifestanti pacifici sono stati presi in ostaggio da gruppi organizzati di violenti che avevano il solo scopo di sfregiare una città».
Anche Francesco Rutelli smonta l’ipotesi degli infiltrati: «L’azione delle forze dell’ordine è stata positiva e professionale». Senza infiltrati e provocatori. Anche il Pd, per voce del senatore Luigi Zanda, fa una parziale retromarcia rispetto alle dichiarazioni della Finocchiaro di mercoledì scorso. Parlando della scarcerazione dei fermati, Zanda ha salomonicamente detto che le «decisioni dei giudici non si commentano se non dopo aver conosciuto le ragioni caso per caso». Tacendo però sull’ipotesi infiltrazioni. Una omissione subito stigmatizzata dal ministro per l’Attuazione del programma Gianfranco Rotondi, che ha ricordato come sugli incidenti di Roma «il Pd ha avuto la capacità di arretrare rispetto al Partito comunista che negli anni Settanta si schierò dalla parte della polizia senza se e senza ma».
Sul piano delle indagini c’è, intanto, da registrare la decisione del Tribunale dei minori riguardante il sedicenne fermato durante i disordini di martedì scorso. Il giudice per le indagini preliminari ne ha disposto la «permanenza a casa», in pratica gli arresti domiciliari.
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