La vita è una cosa seria, inutile rifugiarsi nei sogni e nelle illusioni

Pubblichiamo l’ultimo articolo scrit­to da Nicola Abbagnano per il Gior­nale , comparso nella «Terzapagi­na » di sabato 11 agosto 1990, quindi a meno di un mese dalla morte del filosofo, avvenuta il 9 settembre di vent’anni fa. Si tratta di una recen­sione a un saggio di Giacomo Marra­mao. Il titolo dell’articolo era «Visio­ne di un angolo del mondo».

La fuga del tempo è una delle ossessioni dominanti del genere umano. Il tempo precipita nel tempo e getta nel nulla iniziative e propositi, progetti e realizzazioni, rendendo così difficile o impossibile all’uomo il successo e la felicità della vita. Non si può contare sulla durata di una qualsiasi situazione e la durata stessa della vita è incerta per l’uomo. Perciò l’uomo sogna o spera una «eternità» che lo sottragga al tempo e lo consolidi nella sua realtà autentica.
I filosofi tuttavia non hanno riconosciuto nella fuga la natura del tempo. Platone lo intese come «l’immagine mobile dell’eternità», cioè come l’ordine che le cose mutevoli presentano con l’uniformità delle leggi cui obbediscono nei loro mutamenti. Nello stesso senso Aristotele lo definì come «il numero del movimento secondo il prima e il dopo»: un concetto che doveva essere ripreso nel mondo moderno in cui il tempo viene identificato, il più delle volte, con l’ordine causale che le cose presentano e con il progresso che fa avanzare ed arricchire la storia. Ma accanto a questa concezione oggettiva del tempo c’è poi l’altra soggettiva, che rimonta a S. Agostino, secondo la quale il tempo è la vita spirituale che si proietta nel passato e nell’avvenire, rimanendo però sempre presente a se stessa. Il conflitto tra eternità e tempo, che filosofia e religione hanno spesso messo in luce, ha quasi sempre condotto a riconoscere nel tempo una specie di immagine, sia pure parziale e imperfetta, della stessa eternità che è un continuo ed immortale presente.
Apparentemente si è sottratta a questa concezione la dottrina di Heidegger che vede nel tempo un Nulla di fronte all’Essere perché lo considera soltanto una ripetizione dell’Essere. L’esistenza umana è, secondo Heidegger, la scelta e la realizzazione di possibilità che progettano il futuro, ma già alla radice di tali possibilità c’è la realtà che esse progettano. Anche per Heidegger, quindi, il tempo non è una minaccia di annullamento perché non fa che ripetere nel futuro la realtà del passato.
Ma proprio contro questo concetto heideggeriano del tempo si è schierato ora Giacomo Marramao nel suo libro Minima temporalia, tempo spazio esperienza pubblicato dal Saggiatore (Milano, 1990). Esattamente Marramao vede la tesi fondamentale di Heidegger nel principio: «Nulla può esservi di errato, anche nell’oblio e nell’errore perché ciò che continua a darsi, e eternamente si dà, è comunque l’Essere».
Ma così si identificano non solo Essere e Tempo ma anche Origine e Storia, Patria e Spaesatezza. Inoltre si nega l’esistenza al Presente e il Presente all’Esistenza con un nichilismo da cui si esce soltanto con il riconoscimento di un destino fatale.
Marramao rivendica contro questa posizione la concretezza dell’esperienza umana che fa collocare gli eventi della vita non solo nel passato e nell’avvenire, ma anche nel presente che è la scena nella quale gli eventi sono vissuti. E la prospettiva diventa così, secondo Marramao, la caratteristica propria del tempo, per la quale il tempo stesso non è solo previsione o possibilità ma anche visione di un angolo del mondo, luce gettata su qualche aspetto concreto.
Nel suo carattere attivo e decisionale la prospettiva può essere considerata un modo di affrontare la fuga del tempo. Ma non bisogna dimenticare che c’è, di fronte a tale fuga, la possibilità della resa e dell’illusione fantastica. C’è il rifugio in un passato che si ritiene concluso e irripetibile ma che si vuole rivivere a tutti i costi. C’è il sogno di un avvenire che dovrebbe risolvere tutti i problemi e dare felicità e pace definitiva. C’è il rinchiudersi in un presente che si gode nel suo tran-tran quotidiano, rinunciando a ogni rimpianto e ad ogni attesa. Ma così il tempo fugge e non lo si rincorre. Lo si rincorre soltanto se si considera il passato come il passato pur mantenendo vivo di esso qualche elemento decisivo. Lo si rincorre se il futuro non è un sogno utopistico ma un progetto concreto che si può e si deve realizzare. Lo si rincorre soltanto se si dà il giusto valore a ogni attimo del presente.
Contro la distruzione che il tempo compie fuggendo può agire solo la fermezza nell’affrontare le difficoltà e i pericoli che la vita presenta e nel progettare un loro superamento efficace. È inutile rifugiarsi nei sogni e nelle illusioni perché la vita è una cosa seria, dato che il tempo è veloce nel suo scorrimento.

È sempre un aiuto efficace la fede che rafforza la vita quotidiana e dà la speranza al suo superamento. Ma la vera fede è anche riconoscimento esplicito e sincero di quella fuga del tempo contro la quale l’uomo deve lottare.

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