Vita e morte di Vladimir Bechterev. Lo psicologo che capì troppo Stalin

Luciano Mecacci ricostruisce la vicenda del medico scelto dal regime per controllare le menti. E probabilmente ucciso

Vita e morte di Vladimir Bechterev. Lo psicologo che capì troppo Stalin

Viviamo in una società dominata dal rischio, dal sospetto, dall'incombenza del complotto. Vivere pericolosamente non è più una formula filosofica, ma è diventata una ovvietà del senso comune. Le trasformazioni del potere e delle sue possibilità tecniche hanno esteso capillarmente le possibilità di controllo, di profilazione e sorveglianza, tanto da rendere ormai obsolete le tradizionali forme del terrore e della sottomissione.

In altri termini esiste un potere coestensivo alla nostra mente, capace di innervarsi in essa e di sfruttarne i movimenti sottili e rapidi, di captarne il funzionamento e di governarlo.

Quali sono le radici di questo processo? La risposta più naturale la si trova indagando la fase cruenta del totalitarismo novecentesco. Fu in quelle circostanze che il tema del condizionamento mentale delle masse e dell'uso della psicologia, fino alla pratica dell'internamento psichiatrico, è diventato cruciale nella realizzazione di un modello autoritario e collettivistico teso all'annichilimento della libertà individuale.

Il libro di Luciano Mecacci, Lo psicologo nel Palazzo- il caso Bechterev-Stalin, appena pubblicato per i tipi di Palingenia (una casa editrice che esordisce da quest'anno sul mercato con tutte proposte molto raffinate e promettenti), è un'avvincente introduzione a una storia dei rapporti tra Psiche e Potere, ma è anche un viaggio nei luoghi oscuri del totalitarismo.

L'ambientazione della vicenda è nell'Urss del 1927, anzi il fulcro del racconto è un caso irrisolto, forse di natura criminale, che investe Stalin e una singolare figura di scienziato del cervello, che riemerge dagli abissi della memoria documentaria.

Il suo nome è Vladimir Bechterev.

Chi è Bechterev? È una figura dimenticata, forse volutamente, che però a un certo punta torna a comparire nei libri e delle testimonianza che riguardano Stalin. Si sa, innanzitutto, di lui che è morto improvvisamente, dopo una sera passata a teatro, per una intossicazione alimentare. Il sospetto è che sia stato avvelenato, e che l'ordine provenga addirittura da Stalin. Ma perché?

Bechterev è uno scienziato d'idee avanzate ed emancipatrici. E' stato critico dello zarismo, e poi ha appoggiato il bolscevismo. Solo che per via della Rivoluzione non trova più i finanziamenti necessari per la sua attività, poiché sono spariti i fondi privati che lo sostenevano. Peraltro le sue idee non sono troppo nutrite di marxismo.

Sarà, come si racconta nel libro di Mecacci, il giovane, e futuro grande pedagogo, Lev Vygotskij a svelare i limiti della teoria di Bechterev. Essa è poco incline al determinismo socio-economico del materialismo storico.

A interessarsi di lui sono, invece, i dirigenti bolscevichi. Uno psicologo bravo, pensano, è sempre utile; infatti grazie alle sue analisi possiamo entrare direttamente nel cervello degli individui e controllarli. Un'idea che farà una lunga strada nell'Urss dove spesso i dissidenti finiranno internati in reparti psichiatrici con lo scopo, appunto, di ridurre i loro discorsi a sintomi di una presunta malattia mentale.

A un certo punto, però, lo psicologo Bechterev, pare abbia sconfinato, abbia messo piede nel Cremlino, sia entrato in contatto con il Potere, cioè con Stalin. È qui che il racconto di Mecacci ha il proprio centro, anche se volutamente sembra non raggiungerlo mai. Perché in questo libro quel che conta è il gioco d'ombre: tutto è proiettato, partendo dai fatti storici osservabili e commentabili, in una dimensione irriducibilmente e fascinosamente oscura.

Bechterev avrebbe capito che nella personalità di Stalin ci fosse della paranoia? Lo ha addirittura detto o rivelato in qualche modo? Forse Stalin si è sentito, improvvisamente, messo a nudo e ha reagito con la sua consueta violenza verso gli elementi di disturbo del proprio potere?

In fondo potrebbe essere un cold case, oppure la costruzione tendenziosa di un cold case.

Non fu, infatti, a un certo punto lo stesso potere sovietico, già a partire da Kruscev, a voler enfatizzare la pazzia di Stalin? In questo modo si scaricava su una patologia mentale, sui disturbi di personalità di un singolo individuo, quello che invece era la terribile colpa di un sistema che aveva la responsabilità politica di milioni di vittime. La responsabilità attribuita a Stalin di aver voluto eliminare lo psicologo che lo aveva diagnosticato come paranoico diventa una leggenda che può servire a far da velo alla reale spiegazione politica del terrore totalitario.

Gli interrogativi si moltiplicano, ma quello che conta nel libro è la forte affermazione, presente in tutte le voci che parlano nel testo, che il potere collettivista non possa esercitarsi se non attraverso una presa condizionante sulla mente e sui suoi funzionamenti.

Il racconto di Mecacci è molto ampio e denso, indica e ricostruisce numerosi altri luoghi con cui questo episodio oscuro può essere collegato. Tante vie sono percorse e tutte conducono al luogo del presunto delitto: il dilagare dell'antisemitismo nella Russia zarista, i supposti nessi che la propaganda vuole stabilire tra la personalità del Kaiser Guglielmo e il suo braccio sinistro menomato e più corto, le diagnosi sulla malattia di Lenin. Un libro che, perciò, apre molte piste per leggere altrimenti certi tornanti della storia tragica del secolo scorso.

Tutto il racconto è però incorniciato tra un prologo e un epilogo, quasi una messa in abisso di tutta la trama. All'inizio leggiamo uno strano racconto dello scrittore Lion Feuchtwanger. Questo testo sembra essere ispirato dalla vicenda della scomparsa di Bechterev. Come mai lo troviamo all'inizio del libro di Mecacci? La risposta si trova nell'epilogo. Scopriamo, perciò, che anche Feuchtwanger, uno scrittore marxista molto popolare tra le due guerre, ha incontrato Stalin e lo ha intervistato nel periodo delle Grandi Purghe. Di nuovo la scena di uno sconfinamento.

L'intellettuale, entrato ora nel Palazzo, diventa vittima di un plagio, si arrende alla potenza del dittatore e ne giustifica passo dopo passo le tesi su cui fonda il Terrore con cui governa l'Urss. Lo stesso scrittore che sembrava aver raccontato la dannazione di Bechterev, adesso, dopo aver varcato la soglia del Palazzo diviene prigioniero mentale del tiranno.

Nel nostro secolo, però, pare

non più necessaria una forma totalitaria del controllo. Gli stessi risultati di controllo, si possono ottenere in modo più semplice invisibili. Basta un'iscrizione, un pagamento, un post e il potere sa sempre dove trovarti.

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