Un realistico libro di caccia e pesca. Ma anche una serie di storie avventurose degne di Salgàri, però tutte vere, scritte bene e tradotte meglio da Aridea Fezzi Price. Addirittura, una postfazione hemingwayana a firma Thomas Hudson... Ciò e altro può dirsi di La vita a modo mio di Wilfred Thesiger (Settecolori), un libro culto nei paesi anglosassoni.
Wilfred nasce ad Addis Abeba nel 1910, in un tukul di fango e canne, «circolare e col tetto di paglia, comodo e spazioso», tiene a precisare egli stesso. Aggiungendo d'essere stato il primo bambino britannico nato in Abissinia. La legazione in pietra, futura sede dell'Ambasciata inglese, sarà costruita un anno dopo. Figlio di un diplomatico, proviene da famiglia illustre, ha un'infanzia meravigliosamente avventurosa, che lo segna per la vita. La libertà a contatto con la natura africana, le grandi cacce, soprattutto, lo splendore barbarico dell'impero abissino, costituiscono l'imprinting del suo antimodernismo.
La vita a modo mio è un manifesto antimodernista. Il diario di chi, fin da bambino, ha visto la storia in azione. La marcia degli eserciti feudali, il trionfo dei vincitori, i prigionieri in catene. Poi, l'Inghilterra e gli studi a Eton, a Oxford. Regole ferree, disciplina, gerarchie: un trauma per l'adolescente che nel frattempo ha perso il padre, conoscendo un temporaneo rovescio di fortuna. Il giovane Thesiger ispira diffidenza ai coetanei, percepisce la sua diversità. Si fa, letteralmente diventa campione di box del college... Pur così distante dall'establishment britannico, ne è al contempo la quintessenza.
Torna in Abissinia, nel 1930, su invito personale dell'imperatore Hailé Selassié - Ras Tafari non ha dimenticato l'amicizia con suo padre e lo vuole all'incoronazione. Accompagna il duca di Glouchester, capo delle delegazione inglese in rappresentanza di Giorgio V. Qui incontra Evelyn Waugh e, da ciò che scrive, si capisce che entrambi sono due facce antitetiche della Gran Bretagna. «Mi è sempre sembrato un peccato che Waugh non cogliesse il significato storico dell'occasione e rimanesse insensibile a quest'ultima manifestazione del tradizionale sfarzo dell'Abissinia». Ancora, «disapprovai subito le sue scarpe scamosciate grigie, il papillon quasi disfatto, i pantaloni troppo larghi: mi apparve flaccido e petulante e lo trovai antipatico a prima vista. Più tardi mi chiese, di sfuggita, se poteva venire con me nella regione dei Dàncali. Rifiutai. Se fosse venuto, temo che soltanto uno di noi due sarebbe tornato». In Abissinia, a 23 anni, trova la foce del fiume Awash; primo europeo a entrare nel sultanato di Aussa. In Arabian Sands, del '59, racconta l'epica traversata dell'Empty Quarter, il deserto che, per diecimila chilometri, va dallo Yemen all'Oman e per cinquemila dall'Oceano Indiano al Golfo Persico. In The Marsh Arabs, le paludi alla confluenza tra Tigri ed Eufrate (bonificate da Saddam).
Il suo destino è quello di ultimo testimone di un mondo scomparso. Contro l'imperialismo, ma non quello anglosassone; lui che trova irritante, perfino l'elettricità ad Addis Abeba, è anche sostenitore di Ailé Selassié, il maggiore responsabile della modernizzazione
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