Wyn Evans, l’arte è una bolla di luce

La mostra dell’artista inglese Cerith Wyn Evans alla Kunsthaus di Graz (a cura di Adam Budak) ha un doppio punto di partenza: l’opera luminosa creata per la facciata dell’edificio e il nastro di Mobius realizzato al neon che si incontra nel foyer. La Striscia di Mobius, simbolo concreto del rovesciamento, è una giusta introduzione al lavoro di Wyn Evans che prende spunto da altri linguaggi rivoltandoli. Il titolo della mostra, Bubble Peddler, origina dalla figura del venditore di bolle di sapone del teatro Kabuki.
L’opera di Wyn Evans mira a costituire una polifonia, attraverso lo studio delle identità, l’analisi dei meccanismi di percezione e illusione, la relazione tra luce, spazio e linguaggio. Dei suoi primi lavori nel cinema l’artista mantiene il procedimento base: creare un’immagine con la luce. Wyn Evans ha voluto che in occasione della mostra fosse proiettato il film di Kenneth Anger Eaux d’artifice che traduce in linguaggio astratto i giardini di villa d’Este con i giochi d’acqua (set suggerito da Fellini) al suono dell’Inverno di Vivaldi. The sky is thin as paper here (2004) nasce da una frase di William Burroughs (il cielo è sottile come un velo di carta) e presenta sovrapposte (così come la musica di sottofondo) foto d’astronomia e immagini di uomini nudi nel rituale giapponese dello scinto. È una canzone di Strauss rielaborata con David Cunningham e cantata da Elizabeth Schwarzkopf della quale viene anche riprodotto un brano eseguito al contrario: un nuovo cenno al concetto di reversibilità.
L'artista ha sempre richiamato alla mente l’enorme impatto che ebbe su di lui l’opera di Broodthaers esposta all’Ica di Londra nel ’75. Altro personaggio evocato appare Alain Resnais (presente in una conversazione in catalogo con Hans Ulrich Obrist): l’artista dichiara che sono state le pellicole di Resnais a insegnargli a immaginare un film senza averlo visto, solo dal titolo. D’altra parte le opere di Wyn Evans si configurano proprio come gesti atti a creare una comunione tra i viventi, coloro che non vivono più e coloro che non sono ancora nati. In questa operazione l’artista riserva per sé il ruolo di conferenziere, cerimoniere, maître de plaisir.
Wyn Evans ama molto l’arte italiana: «Ho un profondo amore per molti artisti italiani - dichiara -: Penone, Anselmo, Zorio, Boetti... Avrei voluto far parte della scena dell’Arte povera. Quando ero piccolo li conoscevo già e amavo loro, non gli americani». Paul Valéry diceva che da due arti soltanto, la pietra e l’aria, cioè l’architettura e la musica, si può essere circondati. Per Wyn Evans la musica è importante? «Sì - risponde - la musica è molto importante, è legata all’idea di performance. Io suono il basso in un complesso e diamo concerti. È una musica minimalista, come se fosse una architettura, vuole parlare di sentimenti».
Tutta l'opera di Wyn Evans sembra oscillare tra le due polarità dell’eccesso e del minimalismo.

La mostra ha un’impronta barocca che si accorda all’architettura storica di Graz, città dove edifici contemporanei come la Kunsthaus di Peter Cook e Colin Fournier e l’isoletta nel fiume Mur progettata da Vito Acconci si sono perfettamente integrati. Il lavoro per la facciata Bix sviluppa le potenzialità della Kunsthaus come luogo di spettacolo e architettura performativa: è una sorta di traduzione visiva di una musica composta con Marques Pinto.

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