«L’Umbria in mano al regime di Ds e Coop»

Pierangelo Maurizio

da Perugia

Ci manca poco che nei bar di Perugia volantinino i verbali giudiziari con nomi, cognomi e cifre delle presunte tangenti. 850mila euro secondo Giancarlo Lo Forte, l'imprenditore-installatore di allarmi coinvolto in un colossale giro di fatture false che ruotava attorno a Leonardo Giombini, il costruttore di fiducia delle coop rosse. Quattrini destinati a tre politici, tutti e tre dei Ds, e a un dirigente di coop. I dettagli sono sulla bocca di tutti. Vietato però parlarne sui giornali. Una situazione surreale. Oggi l'inchiesta potrebbe registrare una svolta. A meno di improvvisi cambi di programma, davanti al pubblico ministero Claudio Cicchella dovrebbero sfilare alcuni dirigenti di cooperative o lo stesso Giorgio Raggi, diessino e presidente di Coop Centro Italia. È la coop che ha pagato gli 850mila euro (oltre un milione con l'Iva) per un'intermediazione ritenuta fittizia dagli investigatori sulla compravendita del terreno di Collestrada, e da cui sarebbe derivata la provvista per le mazzette.
Intanto ci si interroga sul malaffare in una regione rossa da sempre e sulla cappa di silenzio. Gabriella Mecucci, per molti anni responsabile delle pagine culturali dell'Unità e fino a tre mesi fa direttore del Giornale dell'Umbria, parla di «un sistema di potere chiuso, bloccato, impenetrabile, dove anche per la stampa è difficile fare il proprio lavoro. Non a caso Ernesto Galli della Loggia ha definito l'Umbria un regime».
Parola grossa e un po' abusata...
«Te lo spiego con le parole di Luciano Radi, vecchio democristiano: “In Umbria il Pci ha costruito un sistema atipico che salva le forme democratiche ma impedisce ogni alternanza”. Se sommiamo le cifre erogate da amministrazioni pubbliche, enti, Asl, ospedali otteniamo la quasi totalità del Pil regionale. Questo significa il controllo capillare sulla vita politica, sociale, economica, sull'università, su tutto...».
Anche sulla magistratura?
«Questo è un contesto in cui per tutti è difficile lavorare».
Il procuratore capo ha dovuto emettere un comunicato per dire che Maria Rita Lorenzetti, il presidente regionale, e il sindaco di Perugia Renato Locchi non sono indagati.
«Una polemica che francamente non capisco. Non conosco la vicenda specifica. Parlo quindi in senso generale. A me sembra che in una situazione simile se anche ci fosse un avviso di garanzia farebbe parte dei sistemi di tutela delle persone chiamate in causa, che così potrebbero difendersi».
Cosa pensi di questa cappa di silenzio?
«Che è la prova più evidente dell'esistenza di un regime. Tutti diventano non prudenti, ma timorosi. È una situazione anomala. Molti dirigenti ds ne sono consapevoli. Ma, in una situazione anomala, nessuno parla».
Cioè?
«Quando è scoppiato il caso Consorte subito è cominciata la discussione, anche drammatica. E qui? Niente. Prescindiamo pure dall'esito che avrà l'inchiesta. Ma dico, oh poffarbacco: sbaglio o c'è un signore, tale Giombini, che sta in carcere ed era il costruttore di fiducia delle coop e in parte dell'Unipol? Come mai? Ma non c'è un dirigente nella sinistra che apra il dibattito. E purtroppo neanche nell'opposizione».
L'opposizione?
«Qui l'opposizione non è un'opposizione ma una minoranza, che viene tacitata con qualche strapuntino. È l'anomalia umbra. La società civile non è in grado di interloquire. Le forze sociali sono deboli. La categoria più forte tra gli imprenditori sono i costruttori, cioè quelli più largamente condizionabili dal potere politico... Ma prima ho detto un'inesattezza».
Quale?
«Ci sono oasi culturali dove il dibattito, il confronto c'è. Ma il dibattito si blocca quando diventa politico».


È vero che cresce il malumore tra i diessini - per non parlare della Margherita - e anche l'insofferenza per quello che viene definito lo «strapotere» della Lorenzetti?
«È assolutamente vero. Se l'ex presidente regionale Claudio Carnieri, diessino, dice che “il partito si è fatto Stato”, be' direi che è un segno di insofferenza. E forse qualcosa in più».

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