La scheda truffa finisce in tribunale

M5S e Si ricorrono al Tar. Il Colle: «Ha l'ok della Cassazione». E il Palazzaccio tifa Sì

Roberto Scafuri

Roma Acclarato che non sempre esiste un giudice a Berlino, da ieri il quesito che rimbalza dalle parti del Palazzaccio romano (sede della Cassazione) è il seguente: ma chi può giudicare la Suprema Corte? Nessuno, come dice il nome stesso. Così, se il senatore Gaetano Quagliariello denuncia che sul quesito referendario «la Cassazione ha violato la legge», sarà a tutti palese la portata retorica del grido di dolore.

Ma questa era solo una premessa, perché ieri Cinquestelle e Sinistra italiana hanno depositato i loro ricorsi al Tar del Lazio, ponendo in chiave giuridica lo scandalo del quesito-spot già denunciato da tutti a livello politico. Fatto di gravità inaudita, come è chiaro dalla prosa dei ricorrenti. «Il testo della scheda è una truffa, propaganda ingannevole, l'ennesima trovata di Renzi per prendere in giro gli italiani. Contrariamente a quanto previsto dall'art. 16 della legge 352 del 1970, il testo non specifica l'indicazione degli articoli oggetto di revisione e di ciò che essi concernono e risulta, pertanto, palesemente ingannevole... Il presidente della Repubblica non può tacere...».

Come spesso capita loro, i grillini sparavano un po' alla 'ndo coglio coglio. Difatti il Quirinale era costretto a lavarsene le mani: «Impropriamente si attribuisce alla presidenza della Repubblica la formulazione del quesito referendario, negli ambienti del Quirinale si precisa che il quesito che comparirà sulla scheda è stato valutato e ammesso, con proprio provvedimento, dalla Corte di Cassazione... e riproduce il titolo della legge quale approvato dal Parlamento». La turpitudine, quindi, era stata perpetrata altrove, nei due Palazzi separati dall'aureo Tevere. In Senato, grazie alla doviziosa premeditazione renziana di dotare il ddl Boschi di un titolo capzioso fin dai suoi vagiti, senza che nessuno degli emendamenti per modificarlo riuscisse a passare. Tanto che l'autore della furbata ieri cantava tronfio come un gallo: «Il quesito lo impone la legge, non l'ha creato un genio del marketing». E l'incauta Boschi in tivù lo confermava: «Le polemiche sulla scheda? Me le aspettavo...».

Ma c'è dell'altro, e forse di peggio. Come spiegava il film Amici miei: «Che cos'è il genio? Fantasia, intuizione, decisione e velocità d'esecuzione». Allora, in che cosa precisamente consisterebbe la valutazione della Cassazione se, come recitava una nota diramata ufficialmente ieri, «noi non formuliamo quesiti, l'impone la legge» (singolare concordanza con il premier)? Un semplice passaggio di carte, dunque, avvenuto ad agosto a opera dell'Ufficio centrale del referendum, istituito un mese prima dal Primo presidente, Giovanni Canzio, eletto nel dicembre scorso non senza polemiche per il suo «non essere sgradito al premier e al suo partito», come scrisse il ben informato Corsera. E chi presiede tale organismo? La presidente della prima sezione penale, Maria Cristina Siotto, anch'essa sulle soglie della pensione e «prorogata» (come Canzio).

Nella cui abitazione, si vocifera nei corridoi cassazionisti, da qualche settimana si susseguirebbero cene amicali con spiccata propensione per il «Sì». Tutto lecito, per carità. E di certo malevolenze, come dubitarne? Altrimenti quell'edificio nel quale i romani si recavano sempre sbuffando e bestemmiando, sarebbe normale e non Palazzaccio.

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica