La nuova Corte dei Conti: le ragioni di una riforma

Non può più sottacersi come i nuovi compiti pubblici delineatisi nella contemporaneità reclamino nuovi ruoli e funzioni della Corte dei conti

La nuova Corte dei Conti: le ragioni di una riforma
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La discussione in atto sulla riforma delle funzioni e, più in generale, del ruolo della Corte dei conti genera, come è giusto che sia, di opinioni ad ampio spettro, sulle quali è giusto sì indugiare, ma nell'àmbito di un dibattito scevro da condizionamenti ideologici.

Orbene, riesce difficile sostenere in modo fondato che la riforma attualmente pendente presenti criticità perché è quel che si è sostenuto impattante sui princìpi dell'equilibrio di bilancio, del buon andamento e dell'imparzialità della pubblica amministrazione. Addirittura, essa inciderebbe sull'adempimento delle pubbliche funzioni con disciplina e onore. Si intenderebbe in tal modo accreditare l'idea che una riforma concernente l'organo (la magistratura) deputato al controllo sia idonea ad impattare direttamente sulla pubblica amministrazione e, dunque, sull'efficienza della sua azione. Così facendo, di fatto, si fa propria un'impostazione che partendo da una totale assenza di fiducia nei confronti dell'operato della pubblica amministrazione mischia controllo e amministrazione, quest'ultima condizionata dal primo. Il controllo, in tal modo, anziché collocarsi nel perimetro esterno, si proietta inaccettabilmente nel reticolato interno dell'azione amministrativa. Che poi da una siffatta impostazione possa nascere la tentazione, attraverso un chiaro equivoco di funzioni e di competenze, di un'immistione nelle scelte gestorie, diviene quasi naturale.

Non può più sottacersi come i nuovi compiti pubblici delineatisi nella contemporaneità reclamino nuovi ruoli e funzioni della Corte dei conti poiché, come acclarato da ultimo dalla Corte costituzionale, la paura di incorrere in responsabilità erariale costituisce un freno all'efficienza dell'azione amministrativa. Poiché le «responsabilità» non albergano mai da una parte soltanto, all'instaurazione di questo clima ha contribuito possiamo dirlo certamente una non sempre adeguata formazione e professionalità dei pubblici dirigenti. Nondimeno, non vanno esenti da censure neppure una serie di iniziative vòlte ad acclarare responsabilità erariali rivelatesi prive di fondamento e, comunque, obliteratrici dell'esatta portata non ampia, bensì ristretta del criterio di imputazione della colpa grave, attraverso un distorto allargamento delle relative maglie.

La colpa grave merita una rimeditazione, poiché la necessità di declinarla in concreto, in assenza di parametri certi di riferimento, si presta ad applicazioni quanto mai lasche, in spregio all'impiego di un aggettivo qualificativo che intende restringere in maniera rilevante le maglie della colpa.

Senza poi contare che i casi in cui si perviene a una sentenza di condanna palesano immanenti difficoltà di natura recuperatoria, sovente derivanti dall'assoluta sproporzione tra la somma portata in condanna e le reali capacità patrimoniali del pubblico funzionario, il quale pur sempre di stipendio vive e sopravvive. Ragion per cui, sostenere che la limitazione della responsabilità soltanto a una quota parte del danno altro non significhi se non lasciare sulle spalle del contribuente la restante parte del danno erariale, è affermazione in qualche modo «propagandistica», la quale tralascia una serie di elementi, tra cui l'impossibilità oggettiva di recuperare somme ridondanti in rapporto a condizioni patrimoniali normalmente modeste; senza contare le ingenti spese che la macchina del processo erariale sovente comporta.

La politica del diritto può essere intrisa di molteplici logiche, rispetto alle quali occorre (saper) scegliere. Ritengo sia giunto il momento di fuoriuscire da una logica recuperatoria in quanto, se astrattamente può essere condivisibile, concretamente è per quanto poc'anzi detto irrealizzabile.

La logica deve essere sempre e solo nei casi particolarmente gravi sanzionatoria/preventiva. In una tale direzione, la condanna al pagamento di una somma corrispondente a un numero significativo di mensilità retributive mi pare assolva pienamente alla funzione.

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