
Dentro o fuori, una volta per tutte. Sarà la Quinta sezione della Cassazione il 25 marzo a decidere se riaprire il processo per la strage di Erba, in cui morirono Raffaella Castagna, suo figlio Youssef, sua mamma Paola Galli e la vicina di casa Valeria Cherubini, accogliendo il ricorso presentato dai legali di Olindo Romano e Rosa Bazzi, condannati all’ergastolo.
Nel luglio scorso la Corte d’appello di Brescia, nonostante la richiesta di fare udienze dibattimentali, ha dichiarato inammissibile l’istanza di revisione della sentenza che ha condannato definitivamente i coniugi e di quella presentata dall’ex sostituto procuratore generale Cuno Tarfusser, poi bacchettato dal Csm con la censura per essersi messo contro i suoi superiori. Le «nuove prove» che secondo Fabio Schembri e il pool di legali che difende la coppia, composto da Nico D’Ascola, Luisa Bordeaux e Patrizia Morello, avrebbero dovuto essere discusse in aula sono rimaste fuori dal dibattimento, eppure i giudici di Brescia sono entrati nel merito degli elementi di prova e questo secondo la giurisprudenza consolidata della Cassazione non è possibile.
Si tratta dell’ipotesi dell’errata repertazione della macchia di sangue, gli errori nelle confessioni dei due coniugi, l’analisi di altre macchie di sangue, rispetto a quella trovata in macchina e repertata in modo pasticciato, che riscriverebbero la dinamica della mattanza, le nuove intercettazioni inedite sulla memoria di Frigerio e la sua probabile amnesia anterograda che ne escluderebbe la piena attendibilità, le perizie sulla casa della strage che dimostrerebbero la presenza dei killer molto prima della mattanza e ancora all’arrivo dei soccorritori, che renderebbe incompatibili i due vicini di casa come assassini, la pista della ‘ndrangheta e del regolamento di conti sulla droga mai veramente battuta nonostante elementi nuovi, testimonianze inedite, elementi di prova contenuti in altri processi ma mai acquisiti.
Come sappiamo Olindo e Rosa avevano ritrattato le confessioni iniziali dichiarandosi innocenti per la strage in cui l’11 dicembre del 2006 in via Diaz a Erba. Ma di tutti gli elementi di prova «astrattamente idonei a rovesciare il giudicato» basato su confessione, macchia di sangue sull’auto e riconoscimento oculare del sopravvissuto Mario Frigerio, nessuno è arrivato in aula a essere dibattuto, cioè a diventare o meno prova, eppure nella sentenza emessa il 10 luglio e depositata dopo più di 90 giorni la Corte li ha valutati nel merito, come se ne fosse discusso. C’è una corposa giurisprudenza che lo vieta, ci sarebbero 23 sentenze di Cassazione che in questi casi hanno rimandato le richieste di revisione a un’altra sezione della stessa Corte d’Appello o nella sede competente sul distretto (in questo caso Venezia) , Secondo i legali infatti la sentenza disattenderebbe l’articolo 24 e il 111 della Costituzione, l’articolo 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, il Codice di procedura penale e una sequela di sentenze di Cassazione anche recentissime che darebbero ragione alla difesa. Nella pluralità di vizi (motivazione, illogicità, contraddittorietà con quanto richiesto nella revisione) i più eclatanti secondo la difesa sono relativi agli aspetti più formali del rito di revisione, soprattutto per «la sovrapposizione indebita delle regole probatorie di due fasi distinte» del processo di revisione – l’ammissibilità e la discussione in dibattimento – ma soprattutto «l’erronea interpretazione di concetti giuridici, richiamati in modo inappropriato».
Il processo penale, e tale certamente è il giudizio di revisione, impone l’uso del contraddittorio «per» la formazione della prova e non «sulla» prova. Il che significa che la sentenza non ha valutato prove, ma elementi che sarebbero potuti e dovuti diventare «prove» solo dopo l’instaurazione del contraddittorio, si legge nel ricorso. Invece a Brescia ci sarebbe stata una valutazione meramente cartolare degli «elementi» di prova, una fase solo apparentemente di ammissibilità, complice anche gli interventi della Procura generale, dell’Avvocatura Generale dello Stato e delle parti civili che si sono protratti per oltre cinque ore, incentrati sull’approfondimento e sulla verifica degli elementi indicati nell’istanza di revisione anziché una delibazione sommaria, con dati probatori travisati e riportati in modo distorto, in un modo non consentito dal rito. «Uno sconfinamento rispetto ai modelli che avrebbero dovuto governare la fase nella quale si versava», dicono i legali, ricordando di averlo già sottolineato in aula più volte, come a prevederne l’esito di inammissibilità senza dibattimento, contrario alla giurisprudenza consolidata in questi casi.
A giurisprudenza corrente la Cassazione dovrebbe da ragione ai legali e rimandare il processo di revisione sulla storia di cronaca nera più controversa del Dopoguerra con le prove ammesse a Brescia. Ma di stranezze ce ne sono state pure troppe, in una vicenda che si protrae quasi da 20 anni, su cui si sono accesi i riflettori solo grazie ad alcune inchieste giornalistiche, su tutte il podcast Il Grande Abbaglio curato con Edoardo Montolli, quelle del Giornale sin dal 2007 riprese da Storie Italiane su Raiuno e delle Iene dal 2019, non ultimo lo speciale del Tg1.
Anche Chi l’ha visto se n’era occupata e prometteva di rifarlo nei giorni scorsi, ma non si è saputo più nulla. Ecco perché riaprire il processo è necessario per disinnescare definitivamente il sospetto che dietro un cortocircuito mediatico-giudiziario si nasconde la condanna all’ergastolo due innocenti.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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