
Nove persone, tra dirigenti e responsabili di Eni e della ditta appaltatrice Sergen: a poco più di tre mesi dalla tragedia che costò la vita a cinque operai nell'esplosione di un deposito Eni a Calenzano, in provincia di Firenze, la procura di Prato ha emesso i primi provvedimenti comunicando di aver iscritto nel registro degli indagati i nomi dei presunti responsabili. Si tratta di sette esponenti di Eni e di due della ditta appaltatrice: per tutti, le accuse spaziano dall'omicidio colposo plurimo al disastro colposo fino alle lesioni colpose, visto che nell'episodio rimasero ferite più o meno gravemente altre 27 persone. A comunicare la mossa degli investigatori è stato ieri il procuratore capo di Prato Luca Tescaroli, facendo sapere di aver disposto anche un incidente probatorio alla luce dei risultati investigativi fin qui raccolti. Tra i reati ipotizzati dagli inquirenti c'è anche la rimozione delle cautele infortunistiche. Secondo quanto ipotizzato da Tescaroli, sulla luce di quanto emerso finora, quanto avvenuto la mattina del 9 dicembre nel deposito Eni di Calenzano rappresenterebbe un «evento prevedibile ed evitabile», dovuto a un «errore grave e inescusabile». Nell'esplosione morirono Davide Baronti, 49 anni di Bientina (Pisa), Gerardo Pepe di 45 anni e Franco Cirelli di 50, entrambi di Cirigliano (Matera), nonché i pratesi Vincenzo Martinelli di 51 anni e Carmelo Corso di 57. In particolare, quella mattina erano in programma interventi per convertire la linea dismessa di benzina al trasporto di un nuovo prodotto: durante l'attività si creò però una nube di aerosol, originata dalla fuoriuscita di benzina a pressione da una fessura apertasi in una flangia, svitata da operatori della Sergen sotto una valvola dell'area pensiline adiacente a una corsia di carico delle autobotti. Sulla base della documentazione, fonti di innesco come il motore di un elevatore avrebbero generato calore in un'area ad alto rischio, proprio in un momento in cui le operazioni di carico delle autobotti erano parallele alle attività di Sergen. «Se in quel momento le pompe di carico delle autobotti fossero rimaste chiuse come dovevano dalle 9 alle 15 ha spiegato Tescaroli - sarebbero andati persi circa 255mila euro di guadagni». Gli indagati sono Patrizia Boschetti (responsabile della struttura organizzativa e gestione operativa del centro Eni spa di Roma), Luigi Collurà (dirigente con delega di funzioni sulla sicurezza del deposito Eni di Calenzano), Carlo Di Perna (responsabile manutenzioni), Marco Bini, Elio Ferrara, Emanuela Proietti (responsabile del servizio prevenzione protezione di Eni), Enrico Cerbino (responsabile del progetto esterno per le manutenzioni), nonché Francesco Cirone e Luigi Murno della Sergen. Dal canto suo, la sede romana di Eni è indagata per la responsabilità amministrativa in ordine ai reati di omicidio e lesioni.
Secondo quanto contestato dagli inquirenti, quindi, Eni avrebbe permesso di svolgere l'attività di manutenzione senza interrompere il carico delle autobotti nelle pensiline, per risparmiare.
E se in una nota Eni conferma «la propria piena e totale collaborazione all'autorità giudiziaria, con la volontà prioritaria di contribuire a individuare le cause e le dinamiche ad esse associate all'origine dell'incidente» e ribadisce «il proprio impegno al risarcimento dei parenti dalle vittime dell'incidente e, con la maggiore tempestività possibile, dei danni civili sul territorio», sul tema è intervenuta anche la Cisl di Firenze e Prato: «Tragedie come quella del deposito Eni ha commentato il segretario, Fabio Franchi - non si possono derubricare a fatalità o casualità.
Lo abbiamo detto da subito, lo abbiamo ripetuto in piazza a Calenzano e adesso ne abbiamo la conferma con gli avvisi di garanzia emessi dalla Procura di Prato. Era scontato che svolgere lavori di manutenzione in contemporanea al normale carico delle autocisterne esponeva i lavoratori del sito a ciò che poi drammaticamente è successo».
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