
Verona è una città in pieno fermento gastronomico. Appena entrata nel novero delle quattordici località italiane che possono vantare un ristorante tre stelle Michelin, con il riconoscimento dell’eccellenza assoluta ai Dodici Apostoli di Giancarlo Perbellini, sorride anche per la stella assegnata a Iris, il ristorante che ha aperto meno di un anno e mezzo fa a Palazzo Soave, nel centro della città scaligera, non lontano dall’Arena e da Piazza Erbe, appena fuori dalle mura romane. Un ristorante elegante, la cui contemporaneità smaccata dialoga spericolatamente con la solennità dell’edificio, tra forme neogotiche, affreschi rinascimentali, pietre, marmi e scavi archeologici, che ne fanno uno degli scenari più incredibili per un ristorante in Italia.
In cucina da Iris c’è Giacomo Sacchetto, chef di 39 anni ma con già una lunga esperienza (tra i suoi maestri lo stesso Perbellini e l’altro tristellato Norbert Niederkofler) e reduce dall’esperienza della Cru della vicina Romagnano. La sua è una cucina precisa, tecnica, che manifesta una grande attenzione per le materie prime che arrivano da fornitori selezionati, con cui lo chef intrattiene rapporti di collaborazione molto stretti (mi piace citare le verdure dell’azienda agricola Trètener, che ho particolarmente apprezzato). Sacchetto gioca con i sapori, ricercando note fresche, acide, amare sempre e comunque in buon equilibrio. Mi sentirei di suggerirgli solo un po’ più di coraggio e di cuore.
La serata inizia nella cantina, dove mi viene servito un calice di buone bollicine francesi e alcuni snack in abbinamento. In quel caso avviene anche la scelta dei menu tra i due degustazione (Raccontami, dedicato alla tradizione veneta e veronese rivista in chiave contemporanea, al costo di 135 euro che diventano 165 se si decide di aggiungere tre piatti a sorpresa, e Adriatico e dintorni, che punta forte sulla materia prima ittica, a 155 euro) e la carta, dove si può scegliere tre piatti a 120 euro e quattro piatti a 145.
A me lo chef ha consentito di girovagare tra i vari percorsi. Dopo gli snack (Tuorlo in agrodolce affumicato con panna acida, beurre blanc ed erba cipollina; Bignè in doppia consistenza farcito al mais pralinato cremoso al Monte Veronese, pere e peperoncino; Tartelletta con sedano rapa alla soia e crema al pistacchio; Biscotto al sesamo nero farcito con confettura alle cipolle rosse e anguilla affumicata; Meringa alle vinacce con gelatina al consomé di pollo, petto d’oca affumicato, crema di vino bianco e speck) sono salito al piano superiore per la cena vera e propria. Un piccolo piatto per fare stretching (il Mangia e bevi Iris, una cialda all’iris croccante accompagnata da crema di patata al limone e arachidi, poi con una cannuccia si beve un infuso freddo al fiore di iris) ed ecco il primo piatto, a base vegetale: una carota sfogliata, brasata nei suoi succhi, sopra a un disco al finocchio tagliato al naturale, pane profumato al finocchio, centrifuga di insalata canasta e del miele millefiori. Un piatto di robusto pensiero a partire da ingredienti di umile lignaggio, una Cenerentola che va a corte.
Poi arrivano le proteine. Dapprima quelle marine, con la Capasanta proposta con un sedano Verona cotto come un soufflé, una dadolata della stessa capasanta, condita da fumetto di pesce, alla base del burro bianco profumato al passion fruit e del caviale asetra prodotto a Calvisano. Poi quelle di terra con una Battuta di cervo condita con il suo stesso fondo, capperi, senape e mela campanina, il tutto racchiuso in una cialda croccante alle verdure, con patata dolce, zucca e carota e, a smorzare certi eccessi, un olio trasparente all’eucalipto e alla menta. Sarà tra i migliori assaggi della serata.
Sul trono però si accomoda lo Spaghetto turanico Mancini con trito di asparagino selvatico (in questa stagione inevitabilmente in conserva) con le canocchie e polvere di liquirizia, non a caso una delle hit di Sacchetto. Dimenticavo: si viene incoraggiati a fare la scarpetta con una focaccia in stile pan brioche al carbone vegetale (io non mi sottraggo). Dopo questo piccolo capolavoro risulta ingiustamente più ordinario il Riso (un Vialone nano) con battuta di mazzancolle, meringa morbida di crostacei, gambero rosso di Mazara del Vallo e polvere di camomilla che segue.
Ancora pesce con una Ricciola scottata in padella e poi nappata con del burro, crema di rapa rossa al barbecue, mousseline di ricciola, una salsa olandese di spiccata acidità con alghe marine e acqua di mare e a fare da controcanto un cicorietto marinato con del sesamo. A fianco, una crocchetta realizzata con le parti di scarto della stessa ricciola, sifonata e fritta con crème fraiche ed erba cipollina. I secondi di carne sono invece un’Animella di cuore di vitello, cotta al burro con erbe aromatiche, poi panata nel panko, con crema di rafano, erbe aromatiche e senape, una battura di patate dolce con il su olio, il fondo di cottura della carne, mentre nella parte superiore fa mostra di sé dello spinacino saltato con chips alla nocciola. Infine il Controfiletto di manzo rosa al cuore, polvere di pomodoro, crema di ricotta al barbecue, crema verde al dragoncello con un’erba aromatica fresca di montagna (di cui confesso di non aver capito il nome), un millefoglie di patata e cipolla. Chiusura con il botto.
I dolci: dopo un predessert mi viene portato un assaggio di quattro dolci, tutti giocati piuttosto sulla delicatezza: Viola (gelato viola mammola, spuma di limone, guazzetto di rosa e mora e cialda alla mora), Uva fragola (biscotto morbido con cioccolato al latte e pera, cremoso al melograno, oro in polvere, marmellata di limone, sorbetto all’uva fragola), Sinfonia di noci (cremoso alle noci nere, inserto di noce pekan, gelato alla noce macadamia, tuile di noce e alla base ribes nero) e Sogni d’oro (gelato al fior di latte e mandorla, cremoso alla camomilla e una cialda al miele in doppia consistenza). Per finire la consueta raffica di petit fours tra i quali apprezzo particolarmente la Sfera al cioccolato bianco ripieno di colomba.
La carta dei vini è molto blasonata. Il sommelier Andrea Puliga (bresciano, classe 1985) mi fa viaggiare tra Veneto, Loira, Borgogna ed Etna. Il servizio affidato al bravissimo Denis fila via che è un piacere. Chi vuole può andare al vicino Velvet Bar per il drink della staffa. Io no, mi perdo nei locali della futura spa dell’albergo cinque stelle lusso che darà nuova vita a Palazzo Soave (il comune di Verona ha da poco dato il definitivo via libera), dove trovano spazio anche i pavimenti romani emersi nel corso del lavoro di restauro.
Un luogo che rappresenta la consacrazione della visione di Bruno Soave, che da fattorino è diventato uno dei più importanti imprenditori della città, oggi specializzato nella riqualificazione di edifici storici della città. E questo, a cui ha dato il suo nome, è quello della vita.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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