Il tonfo storico di Scholz. "Una sconfitta amara. Colpa mia, avanti insieme"

Parabola di un leader soprannominato "robot" e in cui nemmeno i suoi credevano

Il tonfo storico di Scholz. "Una sconfitta amara. Colpa mia, avanti insieme"
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La fantasia con cui Olaf Scholz, 66 anni, è stato dipinto dagli avversari nella sua parabola da cancelliere (e pure da qualcuno dentro la sua Spd) è degna di un libro fiabesco. Gli hanno dato del «robot», «idraulico del potere», infine del «cancelliere di burro». E i giornali hanno avuto gioco facile nell'attaccare certe sue attitudini in questi ultimi due anni. Zero slogan, incapacità di formulare frasi a effetto, ripetitivo nelle risposte. Eppure è lo stesso Scholz, ora deluso da un «risultato amaro» di cui si assume la colpa chiedendo di andare avanti insieme, che nel settembre 2021 convinse gli elettori che per il dopo-Merkel - 16 anni di regno cristiano-democratico - il «grigio» socialdemocratico sarebbe stato la scelta migliore.

Non ci credevano neppure i suoi già all'epoca. L'anno prima dell'elezione a cancelliere, quando i tesserati votarono per i vertici Spd, non lo vollero come presidente del partito. L'anno dopo, visto che si doveva andare al voto in Germania, l'Spd lo indicò quasi come colomba sacrificale. Pochi, tra i socialdemocratici, ritenevano che la sinistra potesse vincere; i pesi massimi pensavano di giocarsela più avanti e di non bruciarsi con urne incerte. E invece «Scholzomat», l'automa prestato alla politica, portò al successo, archiviando così l'era della «Mutti», la mamma del Paese.

Quarto Bundeskanzler Spd dopo Brandt, Schmidt e Schroeder; il secondo a non usare la formula «che Dio mi aiuti» nel giuramento. E per scelta senza figli. Scholz promise subito: niente patrimoniale, niente aumento delle tasse per le fasce di reddito più alte e un bel ritocco all'insù per il salario minimo a 12 euro l'ora. Il contratto con liberali e verdi, con cui impegnò l'intera Germania all'addio al carbone entro il 2030, azionò il «semaforo». Poi annunci di costruzione di case popolari (400mila) e stand by per l'aumento dell'età pensionabile. Risalì nei gradimento dentro l'Spd, subendo però la messa al bando dei motori a combustione dal 2030 e altre prevaricazioni eco-green come la legalizzazione del possesso e consumo di cannabis. Tutto gestibile, finché le politiche verdi in Europa, sempre più contestate alle urne, i fondi Covid-19 gestiti come un bancomat di Stato e la guerra in Ucraina non hanno mandato in panne la locomotiva tedesca. E così la fiducia nelle sua capacità.

Ieri la Spd ha ammesso la «sconfitta storica», il risultato più basso di sempre. I sogni di gloria di Scholz sono implosi. Era riuscito a lasciarsi alle spalle accuse di frode da sindaco di Amburgo; ha iniziato il riarmo della Germania rompendo un tabù; fatto imbestialire i liberali sul bilancio. È stato lasciato solo pure dai suoi, che avrebbero preferito dar spazio al ministro della Difesa Pistorius. Lui, la «macchina», pur dotato di un istinto che talvolta gli ha dato ragione, si è impantanato: fino alla sfiducia di dicembre. Dai soprannomi agli insulti. Di Merz: «Le scarpe dove è entrato sono di due numeri più grandi». Se l'è presa con i top manager di Volkswagen, dicendo che se le fabbriche chiudevano era colpa loro.

E se da giovane voleva abbattere il capitalismo, nelle sue varie metamorfosi, stavolta non è riuscito a risorgere dalle ceneri di una coalizione implosa il 6 novembre, giorno dopo il trionfo di Trump. Mentre la Germania continuava a subire attentati da richiedenti asilo, talvolta residenti negli edifici finanziati proprio dal suo governo.

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