Un genio. Cormac McCarthy dimostra di esserlo con Il tagliapietre. Alla sua prima apparizione in Italia, nel 1993 con Cavalli selvaggi (Guida editore), non molti lessero lo scrittore americano, diventato di culto con romanzi come La strada o Non è un paese per vecchi, ma poi Einaudi ha saputo trasformarlo in uno degli autori più letti, incensati e amati anche da noi.
L'inedito Il tagliapietre - esce oggi per Einaudi (pagg. 144, euro 15,50) - è un dramma in 5 atti destinato al teatro, ma non deve spaventare perché grazie ai lunghi monologhi del protagonista ha la leggibilità di un romanzo. Malgrado sia stato stroncato negli Stati Uniti come «un notevole fallimento» è invece tra i suoi testi più riusciti. Una premessa per il lettore: questo libro è qualcosa di singolare perché al «mito della frontiera», tipico dell'autore, contrappone un Midwest americano raccontato in prima persona da un nero che affronta le difficoltà di quegli Stati dove non è mai stato e non è facile vivere. Non ho mai apprezzato particolarmente McCarthy, malgrado una pletora di critici abbia esaltato la sua maestria. E guai a criticare un qualsiasi suo libro, perché in molti casi ha più fan che lettori. McCarthy è un intoccabile. Merito anche, sia detto, dei fratelli Cohen che hanno trasposto Non è un paese per vecchi in uno dei film più poetici e importanti degli ultimi anni. Su The Stonemason si è letto di tutto, non sui quotidiani ma sui siti letterari. Tutti a cercare una fonte, un confronto, una similitudine ma con superficialità tanto da scrivere che «è l'ultimo inedito di McCarthy». Non è vero. Ci sono racconti, saggi, sceneggiature cinematografiche, interviste (memorabile quella con i fratelli Cohen) da noi mai editi.
Il tagliapietre è stato scritto a fine anni '80 e portato in scena e pubblicato solo nel 1994: attaccato da decine di stroncature, magari legittime per un dramma teatrale ma non per un testo che è portatore di una poetica che lascia stupiti. Il protagonista è Ben Telfair, un tagliatore di pietre di 32 anni, che proviene da una famiglia di afroamericani che fa quel mestiere da tre generazioni a Louisville, Kentucky, nei primi anni '70. Tempi difficili in quel Midwest e in quell'epoca. Ben, che è anche la voce narrante, ha abbandonato gli studi in psicologia per dedicarsi alla lavorazione della pietra, come suo nonno, l'ultracentenario Papaw. A legare i due uomini non c'è solo l'arte della costruzione muraria - «il mestiere» come Papaw ama definirlo, quasi non ve ne fossero altri. Il resto della famiglia ha scelto diversamente: la moglie di Ben, Maven, ambisce alla professione di avvocato; suo padre, Big Ben, anziché sulla pietra ha preferito investire sul cemento.
Ed è su queste differenze di ambizioni, tra valori tradizionali e virtù quasi puritane in un Midwest dalle mille contraddizioni, che la sceneggiatura regge il ritmo del romanzo.McCarthy è come se avesse intuito il nostro presente già negli anni 70 in un Midwest che oggi è davvero il centro degli Stati Uniti. E lo fa con queste pagine, che ci arrivano come pugni e carezze.
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