In 24 giorni dallo choc russo alla notte di Kiev

Cosa è successo alla Nazionale di Prandelli tra venerdì 1 giugno e domenica 25 giugno?

In 24 giorni dallo choc russo alla notte di Kiev

Cosa è successo alla Nazionale di Prandelli tra venerdì 1 giugno e domenica 25 giugno? Cosa è successo di così strepitoso fra le tre preoccupanti sberle sul muso rimediate nell’amichevole di Zurigo dalla Russia poi messa fuori al primo turno e la spavalda prova con l’Inghilterra conclusa dalla supremazia azzurra confermata anche dai rigori? La spiegazione più attendibile non può essere né il miracolo invocato a seguito della prodezza di Buffon né il mistero cui solitamente fanno ricorso taluni sprovveduti di cultura calcistica e conoscenza degli avvenimenti.

La risposta più convincente è invece la seguente: è successo quel che può avvenire in un sano ambiente, con un gruppo di calcio ben guidato e disposto a lavorare sodo per poco più di tre settimane, tutti i giorni, messo alla frusta dal rischio di eliminazione e dalle critiche severe. È accaduto in passato, per esempio alla Nazionale di Bearzot in Spagna, o a quella di Sacchi partito col piede sbagliato e poi arrivato alla finalissima di Pasadena col Brasile di Romario: si ripeterà appena ci saranno le condizioni di fondo, motivazioni super, orgoglio, idee innovative, coraggio nelle scelte da fare. Nessuna novità, dunque sotto il cielo di Polonia.

Qui a Cracovia Prandelli e il suo staff hanno cementato le crepe emerse dopo la rovinosa amichevole di Zurigo accogliendo le richieste partite dal blocco juventino. «Ci sentiamo più sicuri se giochiamo a 3 dietro in difesa» gli fecero sapere. E lui per evitare che il panico mettesse a rischio l’europeo stesso, colse al volo il suggerimento con una modifica non di poco conto: fuori un difensore di professione dal trio, dentro De Rossi, un centrocampista col dichiarato intento di promuovere il gioco da dietro e sul binario di sinistra, una finta ala, Giaccherini, al posto di un difensore dell’argine. Appena il ct ha riconosciuto maturo il tempo per tornare allo stampo tattico classico, non ha inseguito né capricci nè pigrizie: dietrofront e via. Nel frattempo sono lievitate la condizione fisica, insufficiente il 1 giugno per evidenti motivi, e lo stato di forma di tre esponenti di rilievo, non a caso i tre campioni del mondo 2006 presenti in Polonia, Buffon, Pirlo e De Rossi. Il portierone azzurro, malmostoso per le cattiverie incassate sulla vicenda «scommessopoli», è stato uno degli eroi della notte di Kiev: il suo scatto felino sulla stoccata di Cole ha dato la spinta decisiva per spuntarla ai rigori.

Prima di lui, la scossa seguita all’errore di Montolivo, è arrivata dal «cucchiaio» di Pirlo, ammirato e lodato in tutto il mondo per l’eleganza dello stile, la perfezione dei lanci. Gli inglesi lo hanno definito «il pianista», si è scomodato Xavi, il numero uno in circolazione, per definirlo un «autentico fenomeno», Van Persie e Owen hanno utilizzato lo stesso registro. «È uno dei più forti al mondo, colpisce la sua grande continuità durante la partita» il giudizio di Prandelli che ha fatto scattare la battuta nella scolaresca dei bricconi («proprio come la pensa Allegri!» il riferimento al tecnico milanista che lo ha messo alla porta di Milanello l’anno scorso).

Alla fine della fiera la differenza tra la Nazionale sbertucciata del 1 giugno e quella osannata del 25 giugno, è costituita in modo plastico da questi tre (che tenerezza il De Rossi in festa con la figlia in braccio) fuoriclasse in maglia azzurra. A ben vedere, se fossero stati in salute e presenti insieme nell’estate del 2010 in Sud Africa, lo stesso Lippi si sarebbe guadagnato un congedo più onorevole dal club Italia.

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