Le 3 opposizioni d'Italia ora sono nel caos

La nomenklatura della prima Repubblica, la cerchia "economica" di Prodi e quella di Bazoli: molti interessi e nessuna strategia

Le 3 opposizioni d'Italia ora sono nel caos

Se la maggioranza ha seri problemi, l’opposizione ha difficoltà tali per cui funziona solo quando organizza il fronte antiberlusconiano, ma va in tilt quando passa alle proposte. C’è di fatto un assemblaggio di forze strutturalmente diverse: da una parte c’è il ceto primorepubblicano (ex Msi, ex Dc, ex Pci) che sostanzialmente autorappresenta gli interessi di centinaia di migliaia di persone che vivono di politica, esattamente come le antiche nomenklature sovietiche. Leader di questo schieramento sono Casini e Massimo D’Alema, che non per nulla stanno cercando un accordo (Pier Ferdinando sul Colle e Nicola Zingaretti a Palazzo Chigi). Non mancano le solite contraddizioni infra-nomenklature dentro questo settore: sotto traccia si colgono già le tradizionali risse tra ex dorotei ed ex andreottiani. E c’è un Pier Luigi Bersani che vuole al più presto il voto per salvare un qualche ruolo per sé.

Ma il contrasto più forte l’area del «ceto politico» dell’opposizione l’ha con un prodismo che esprime più la componente economica (il sistema Iri e dintorni) che quella politica della Prima repubblica e oggi ha realizzato una forte convergenza con il mondo di Repubblica. Carlo De Benedetti è infatti convinto di poter portare Romano Prodi al Quirinale sull’onda della protesta che cresce nella società. Magari temperando certi radicalismi con il sostegno a un Matteo Renzi a Palazzo Chigi: da qui la mossa di Bersani di cercare subito di tagliargli le gambe.

Però questo tipo di orientamento più radicale alimenta un altro conflitto tra coloro che si collocano all’opposizione. Perché tra le anime della protesta in atto non mancano amici e allievi di George Soros: coloro che sanno quanto un bel titolo su un quotidiano a grande tiratura possa avere importanti effetti non solo (e in qualche misura non tanto) sulla politica quanto su questa o quella speculazione borsistica. Proprio questa deriva speculativa di un certo giornalismo e di una certa politica ha spinto anche un riluttante Giovanni Bazoli (in parte costretto a esporsi dall’uscita di un Cesare Geronzi che dava più equilibrio all’establishment finanziario) a un nuovo attivismo. Le banche italiane sono infatti le prime vittime di queste ondate di aggressioni finanziarie scaricate via media e politica sulla nostra economia. Da qui l’esigenza di tagliare le sponde a sinistra di queste operazioni anche determinando nuovi equilibri politici. Malignamente qualcuno sostiene poi che al Corriere della Sera si cerca di ostacolare la salita al Colle di uno sponsorizzato da Repubblica che sottrarrebbe al quotidiano milanese il ruolo di portavoce del Quirinale. L’affanno di Corrado Passera con continue dichiarazioni, presenzialismi, candidature a ministro dell’Economia, corrisponde alle esigenze di Intesa di indebolire certe sponde di sinistra alla speculazione. Però finisce per puntare a una regia generale della complessità italiana che non pare destinata a grandi successi. Basti considerare come l’attacco a Sergio Marchionne, reo di sottrarre la Fiat al consociativismo italiano e di occuparsi solo di produzione e mercato, abbia squilibrato su linee filo bancocentriche Emma Marcegaglia, ormai succube di Luigi Abete e Giuseppe Mussari, mettendo in difficoltà Raffaele Bonanni e dando spazi agli estremisti della Fiom.

Anche un rapido giro di orizzonte dell’opposizione politico-sociale (con le sue tre

anime: le nomneklature, la Repubblica più Prodi, e Bazoli) alla maggioranza fa capire come il fondarsi sull’agitazione invece che sulla costruzione di programmi connessi a basi sociali alla fine tenda a produrre solo caos.

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