"Quel maledetto 1974". Ecco come nacque l'avventura di Montanelli 50 anni fa

La cacciata di Indro dal Corriere della Sera nel 1973 fu uno spartiacque decisivo nella storia del giornalismo italiano: un anno dopo, ecco infatti arrivare il "Giornale Nuovo"

"Quel maledetto 1974". Ecco come nacque l'avventura di Montanelli 50 anni fa
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"C'è poco da guadagnare, c'è molto da rischiare. Andiamo all'avventura, ci imbarchiamo e partiamo". Con queste parole, rivolte ai giornalisti che scelse singolarmente e che conosceva personalmente, Indro Montanelli consacrò di fatto la partenza del lungo viaggio de "Il Giornale", arrivato oggi a compiere cinquant'anni di età. Mentre molti politici e intellettuali, furbi e flessibili, a metà degli anni Settanta alzavano i toni inneggiando alle mode trascinate dall'onda lunga del Sessantotto e della Contestazione, la maggioranza "silenziosa" degli italiani, che era moderata, non aveva una casa. Fu proprio il geniale maestro di Fucecchio a regalargliela: e lo fece con un quotidiano diverso da tutti gli altri, contro tutti gli altri.

Quando Montanelli fondò il Giornale cominciò quindi a ingaggiare una battaglia contro quel pezzo d'Italia che riteneva inarrestabile l'avanzata del comunismo, flirtava con le agitazioni di piazza - quando non col terrorismo - soffiava sul fuoco delle lotte sindacali, negava l'economia di mercato, giustificava la violenza della lotta di classe. E fu così che, dopo il licenziamento in tronco di Indro dal Corriere della Sera di Piero Ottone oramai spostatosi inesorabilmente a sinistra, ebbe inizio quell'"avventura" durata (ma solo per il momento) mezzo secolo. Vittorio Macioce ha così moderato l'ultimo panel di questa giornata evento agli IBM Studios Milano dedicata ai cinque decenni esatti del nostro quotidiano: "Quel maledetto 1974" è il titolo del contronto pubblico che ha visto protagonista Michele Brambilla, editorialista de Il Giornale, la giornalista Domizia Carafoli, il ministro della Cultura, Gennaro Sangiuliano, e il nostro quirinalista Massimiliano Scafi.

Carafoli si occupava all'epoca di giudiziaria ed è stata al Giornale per 28 anni: dal 1980 al 2008. "Nel mio ricordo il '74 era l'anno in cui dagli slogan si passò ai fatti e noi ci abituammo ad avere sangue sui nostri marciapiedi", dice a proposito degli anni di piombo, quando la grande stampa non si accorgeva del fenomeno che stava avvenendo e cercava di nasconderlo parlando di "sedicenti Brigate rosse" o "faide interne". In un certo senso vivemmo un'epoca stranissima facendo finta che fosse tutto normale, ma che normale non era". In quel contesto "quel Giornale trovava la forza di andare avanti e profumava assolutamente di libertà". Montanelli era un "direttore-non direttore": c'era molta confidenza con i redattori, tanto che una volta Indro invitava Domizia a vestirsi meglio.

Secondo Michele Brambilla quella di cinquant'anni fa fu un "capolavoro di anticonformismo e coraggio di andare controcorrente". L'onda della protesta monta e tutta la grande stampa liberale conservatrice borghese "insegue questa rivoluzione in maniera acritica che ritorna indietro nel tempo al marxismo leninismo. Fior di intellettuali firmavano appelli a favore della rivoluzione e della lotta armata come Umberto Eco". Montanelli non ci sta a seguire questa onda e decide di fondare un "giornale di grande libertà e di straordinario livello". Un giornale verticale di approfondimento che non faceva copia-incolla delle agenzie, ma faceva o inchieste o approfondimenti. Ma come avvenne l'addio al Corriere? "Quel giornale non era più lui stesso, e Ottone vide in Montanelli una personalità ingombrante che non poteva più restare dentro quella casa: ne discute con l'editore, viene cacciato senza nemmeno concedergli l'editoriale di addio". Fu un grande sgarbo.

Scafi cominciò nel '74 come un ragazzo di bottega scrivendo un pezzo di sei righe. "Non mi ricordo mai di avere avuto un'indicazione di quello che avrei dovuto scrivere", dice. Per quanto molti potessero pensare che Montanelli potesse avere un'area algida, ma in realtà era molto alla mano". Faceva anche gli scherzi: "Una volta mi propose di diventare vaticanista perché 'ai cardinali potrebbe piacere un tipo biondino come te'". Era esattamente all'opposto di quello che si poteva pensare: "Un uomo affettuosissimo", generoso e per niente attaccato ai soldi o indivioso". Adesso sembrerebbe essere ritornata - soprattutto nelle università - una sorta di nostalgia per quel decennio atroce: Scafi non ritiene che dalle parole si possa andare ai fatti: "Il mondo è letteralmente cambiato da allora". Ma Carafoli mette in guardia: "Occhio che non è così pensabile oltrepassare quella sottile linea rossa".

Il ministro Sangiuliano, che si sente parte della comunità esistenziale-culturale del Giornale, ricorda altri momenti in cui Montanelli veva preso altre posizioni scomode: come quando lui fu l'unico a elogiare il presidente Ronald Reagan. "Il Giornale fu l'unico che raccontò il genocidio in Cambogia perpetrato dai khmer rossi", afferma l'esponente del governo Meloni. "Lui fu un anarchico-conservatore esattamente come lo fu il suo maestro Giuseppe Prezzolini - aggiunge -. La Voce di inizio '900 rappresentò una vera avanguardia mentre si stavano avvicinando le guerre mondiali e il Giornale ha raccolto quell'eredità, rappresentandone una vera e propria continuità. Uno spirito immaginario irriverente che arriva da lontano e che poi ha riguardato anche Feltri, Belpietro e Sallusti".

Quello stesso spirito anarchico-conservatore è presente anche nell'attuale esecutivo nazionale: "Penso alla mostra su Tolkien per la quale la sinistra mi ha attaccato, ma poi qualche loro sindaco di nascosto mi ha chiamato per avere informazioni". "Qual è un rappresentante del Giornale che le è particolarmente piaciuto, oltre a Montanelli?", chiede Macioce. San Giuliano non ha dubbi: Enzo Bettizza.

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