"I 50 anni da favola: Totogol da 7 miliardi e lo scoop mancato su Breznev morto"

Montanelli nel ’74 fondò il Giornale e si sposò. E già dal ’75 faceva un Tg

"I 50 anni da favola: Totogol da 7 miliardi e lo scoop mancato su Breznev morto"

Per anni è stato il «custode». Dell’archivio storico e della memoria del Giornale. Massimo M. Veronese, già curatore degli inserti realizzati in occasione dei 40 e dei 45 anni della testata (con il prezioso contributo della corretrice Barbara Reggiani) è andato in pensione qualche anno fa, ma tutto questo inserto non sarebbe mai stato realizzato senza il suo impagabile lavoro di raccolta di fotografie, spunti, lettere e ritagli. Ma soprattutto aneddoti, che raccontano in un’immagine la storia e l’essenza di questo glorioso quotidiano.

Partiamo dal mantra montanelliano per eccellenza. L’essere mitologico che accompagnava ogni scelta. Il «lettore dal primo numero».

«Per Montanelli i lettori erano tutto, i veri padroni del giornale e dei giornalisti. Era l’Italia laboriosa, produttiva e libera a cui aveva dato un punto di riferimento negli anni di piombo e contro l’ostilità di un mondo compatto e conformista. Il mantra del “lettore fin dal primo numero” è diventato una specie di medaglia sul petto e di appartenenza a un corpo speciale. Per Cesare Zappulli, uno dei fondatori, “non era un giornale ma un movimento di opinione pubblica”».

E una vera comunità di lettori...

«Uno di loro si chiamava Antonio Alberti, di Porto Cesareo, ogni 9 del mese, data della scomparsa della moglie Gina, faceva un necrologio con una frase poetica. Per 15 anni. Aveva speso più di 30mila euro in necrologi. Quando saltava, per inconvenienti, chiamavano i lettori per chiedere se fosse successo qualcosa, se potevano scrivergli, se ci fosse bisogno».

Una storia lunga 50 anni. Qualche scoop memorabile?

«Uno mancato. Edmund Stevens era il corrispondente da Mosca, non solo del Giornale ma anche di Life e Time. Americano di Denver, sposato con una russa. Grande giornalista, ma aveva la fama di... alzare un po’ il gomito. Un pomeriggio chiama al Giornale e dice: “Breznev è morto”. Tutti controllano, le agenzie non confermavano, le tv non dicevano nulla. “Chi te l’ha detto?”. Nessuno, ma lui sa interpretare cosa accade: i conduttori tv si erano vestiti di nero, una partita di hockey era stata cancellata e sostituita da un concerto sinfonico. Il giorno dopo nessuno aveva la notizia, ma arrivò l’annuncio ufficiale. Se si fossero fidati sarebbe stata una grande esclusiva».

Niente male... Altri scoop che non abbiamo mai letto? «

Alla cattura di Renato Curcio, Gianni Moncini, un cronista dell’epoca, si intrufolò nell’ufficio dei carabinieri e portò a casa un’intervista esclusiva. Curcio gli disse: “È del Giornale di Montanelli? Le dico una cosa nell’orecchio solo per lui”. Moncini non la scrisse: “Vado via pensando alla faccia che farà Indro, quando gli dirò cosa mi ha detto...”. Si sospetta fosse un avvertimento: “Sei nel mirino delle Br”».

Questo a fin di bene...

«Carlo Monti, ex olimpionico della 4x100 a Londra ’48, giocava ogni settimana le schedine sul Giornale. Il 13 aprile 1996 scrive a pagina 29 il pronostico di una schedina Totogol. A quel concorso il pronostico avrebbe vinto 7 miliardi. Ma nessuno la giocò».

Chissà quanti sfottò tra i colleghi. Ma Montanelli era autoironico?

«Una volta scrisse a se stesso e si rispose. Lui aveva mandato una lettera firmandosi Indro Montanelli e iniziava con “Caro direttore”. Si lamentava con ironia di un articolo con un’inesattezza storica. La risposta: “Caro Montanelli, la colpa è mia perché non l’ho letto... Amici lettori, deposito la mia testa sul vostro ceppo e fatene quello che volete».

Da burbero, sapeva anche essere generoso?

«Dieci anni dopo l’attentato aiutò persino i brigatisti che gli spararono, Laura Azzolini e Franco Bonisoli. Dopo essersi dissociati dalle Br organizzarono una mostra di manifesti e cartoline e lui ci andò. Apposta per stringergli la mano. Poi li aiutò a mettere in scena un’opera teatrale al Franco Parenti».

Ci sono figure centrali, anche se poco conosciute?

«Leopoldo Sofisti, il primo uomo macchina. Il terzo della trinità accanto a Montanelli e Biazzi Vergani. Caporedattore, in tutta la carriera non ha mai scritto una riga, ma il Giornale era sulle sue spalle. Non si sarebbe mai potuto fare senza di lui. Cambiava continuamente le pagine, senza tecnologie. Entrava per primo e usciva per ultimo. E quando chiudeva le pagine si metteva a cantare La vie en rose. Era la vera eminenza grigia».

Com’era il rapporto con i comunisti «nemici giurati»?

«Tra Pajetta e Montanelli c’era simpatia. “Mi è simpatico, ma se il partito gli dicesse di farmi fuori, non esiterebbe”. Pajetta confessava: “Mi fa rabbia che quando vado in giro mi scambiano per Montanelli o Calindri”. Un giorno Nilde Jotti venne in redazione. Montanelli aveva la statua di Stalin sulla scrivania, la Jotti era sorpresa. Il direttore abbozzò: “Nessuno ha fatto fuori più comunisti di Stalin...”. E rise anche la Jotti».

Oggi si grida alla censura ogni giorno. Com’è andata per Il Giornale?

«All’inizio non veniva inserito nelle rassegne stampa e quando spararono a Montanelli Corriere e la Stampa non misero il suo nome nel titolo. Abbiamo avuto politici che ci volevano mettere il bavaglio, lettere minatorie con pallottole, cronisti in cella o perquisiti come Paolo Longanesi o Paolo Liguori o Anna Maria Greco, spiati sui cellulari, censurati dalle tv. La censura e l’aggressione hanno sempre avuto il Giornale come bersaglio. Montanelli era stato invitato alla prima puntata di Domenica In nell’88. Ma aveva scritto cose che non erano piaciute a De Mita e non entrò mai in Rai. “Ci spiace, ma non la possiamo ospitare...”».

Quel 1974 fu proprio l’anno della svolta...

«Per Montanelli in particolare. Aveva 65 anni. Divorziato da una contessa svizzera, si sposò con Colette Cacciapuoti, 63 anni, divorziata da Raffaello Rosselli, uno dei cugini Rosselli. I due hanno una storia che dura da 25 anni, si sposano a Cortina d’Ampezzo tre mesi dopo la nascita del Giornale. Lei tiene il nome Colette Rosselli, in arte Donna Letizia, curava la posta del cuore sui settimanali femminili. Lui disse: “Siamo due scapoli che si sono sposati”».

Una storia di successo. Anche nei numeri?

«Nel ’97 il Giornale, con Vittorio Feltri direttore, viene premiato insieme al Maresciallo Rocca e a Focus con il Premio Bellavista per il quotidiano dalla crescita migliore. Nel ’96 tocca quota 246mila, record assoluto. All’inizio vendeva 242mila copie, poi si stabilizzò sulle 150mila copie e risalì fino a 220mila. E già nel 1975 il Giornale diventa anche tg, su Tele Montecarlo (l’antenata di La7). Unico telegiornale alternativo alla Rai. Registravano a Milano, al termine delle notizie andava in onda un commento di Montanelli e degli altri giornalisti».

Ma non tutto è chiaro fin dall’inizio...

«Molti credevano non sarebbe durato. Fu fondato con 300 milioni anticipati sulla fiducia dalla concessionaria della pubblicità, sperando di recuperarli con le copie. I giornali avversari suonavano le campane a morto.

Nella rubrica “Dicono di noi” venivano raccolte tutte le cattiverie sul Giornale. Su Abc, il 25 aprile, due mesi prima della nascita: “Il Giornale di Montanelli, se Dio vuole, è definitivamente saltato”». Doveva durare qualche settimana, invece è qua da mezzo secolo.

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