Addio al regista che dissacrava il calcio con una inquadratura

Da "Anima mia" a "Quelli che..." la cifra dei suoi programmi era l'ironia

Addio al regista che dissacrava il calcio con una inquadratura

Una signora che manovra con imperturbabile grazia lo stuzzicadenti. Un signore che s'appisola davanti a tutti, come niente fosse. Un altro che indifferente e furtivo s'infila le dita nel naso. Chi non le ricorda, le inquadrature «maleducate» di Paolo Beldì? Nessun'altro prima di lui aveva osato smascherare le anonime stramberie di anonimi spettatori, che incauti assistono ad una partita o ad uno spettacolo. Grazie all'irriverente ironia del regista di Quelli che il calcio, per pochi ma irresistibili secondi, lo spettacolo lo faceva proprio il pubblico. E il calcio la finiva finalmente - di prendersi troppo sul serio. Così oggi, che improvvisa giunge la notizia della sua scomparsa a causa d'un probabile arresto cardiaco, venerdì sera nella casa di Magognino, frazione di Stresa- quelle immagini feroci e folgoranti sono le prime che si associano al nome di Beldì. Avrebbe compiuto 67 anni l'11 luglio; «e da tifosissimo sognava che proprio nel giorno del suo compleanno l'Italia gli facesse il regalo di giocare la finale degli Europei commenta ora Marino Bartoletti (che con Fabio Fazio condusse Quelli che il calcio dal 1993 al 2001) - L'avevo sentito solo due, tre giorni fa». La sera di venerdì, infatti, gli amici lo attendevano al circolo di Levo, altra frazione di Stresa. Non vedendolo, e non riuscendo a rintracciarlo per telefono, avevano allertato il 118. Ma i soccorritori, penetrati in casa, l'hanno trovato morto. «Abbiamo lavorato insieme dieci anni straordinari: avevamo raggiunto un'intesa pazzesca è il primo ricordo dell'amico di sempre, Fabio Fazio- Con le sue immagini a Quelli che il calcio lui partecipava al dialogo, commentava, interveniva. La sua regia, insomma, parlava ad alta voce». Uno stile arguto, ironico fino all'irriverenza, assimilato dal suo maestro Beppe Recchia, ma che con Beldì divenne una vera e propria «cifra» stilistica, immediatamente riconoscibile. Come lo stesso regista spiegò nel suo libro Perché inquadri i piedi?, motivando la propria passione per i dettagli involontariamente curiosi: l'obbiettivo che indugia sul terrificante calzino abbassato di uno spettatore, o sul malcelato pisolino che un altro schiaccia, nella galleria dell'Ariston di Sanremo, in barba al frastuono fatto dai cantanti. «Fra i tanti che si vantano d'aver inventato la televisione commenta Bartoletti - lui poteva affermarlo veramente. Nessuno ha avuto allo stesso tempo il suo talento, la sua originalità, la sua genialità e la sua lucida follia». Anche perché proprio grazie a quei dettagli, e in generale all'approccio bonario e demistificante del programma, Beldì contribuiva a sdrammatizzare gli eccessi del tifo nostrano, riportandone le intemperanze ad una salutare dimensione lufìdica, da casalingo pomeriggio domenicale. «Quando sono arrivata a Quelli che il calcio nel 2001 ho pensato che, per mia fortuna, tu fossi rimasto ha scritto ieri in un tweet Simona Ventura - Sei stato guida preziosa, uno dei pochi registi che ha creato uno stile, una cifra tutta sua. Non ti dimenticherò mai. Grazie Paolo...Te l'ho detto troppo tardi».

Novarese, tifosissimo della Fiorentina, figlio di un pubblicitario e pubblicitario egli stesso (suo il marchio dei celebri Pavesini), Beldì aveva esordito come comico in radio, negli anni 80 aveva fatto il regista per la neonata Fininvest accanto ad Antonio Ricci, ma era esploso in Rai grazie al trionfo di Anima mia («Fu proprio Paolo rivela Fazio - a dirmi: ti vedrei benissimo in un programma con Baglioni») lanciando il primo show che sdoganava divi nazional-popolari come Orietta Berti o Claudio Baglioni, portandoli alla riscoperta perfino dei teleutenti più radical chic, e trasformando addirittura in cult la fino ad allora snobbatissima band dei Cugini di campagna. È il lancio di un nuovo modo di fare tv, autoironico, talvolta sarcastico, ma tuttosommato innocuo, di cui Fazio sarà l'arguto alfiere e Beldì il sapido manovratore, replicato con successo anche assieme ad altri personaggi (Gianni Morandi, Gene Gnocchi; il Celentano di Svalutation, Francamente me ne infischio, Rockpolitik) e con risultati poco meno brillanti solo in occasioni più istituzionali (i due Festival di Sanremo con Fazio, 1999 e 2000, e quello del 2006 con Panariello).

Quanto al fatto che sempre più raramente la Rai si avvalesse della sua firma, «la sua regia era fatta di grande qualità ha osservato Fazio- Una qualità che passava anche per scene costose, per un gran numero di telecamere. Credo che anche per questo lo abbiamo visto sempre meno.

Oggi è tutto all'insegna del taglio, del risparmio, del consumo istantaneo». «Ultimamente ci sentivamo molto spesso conferma, con una punta di amarezza, Marino Bartoletti - e con pudore lui mi diceva: In Rai mi hanno dimenticato».

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