I fari della pubblicità, per qualche ora, hanno esaltato scene in Europa: Cécilia Sarkozy in jeans e maglietta sulla scaletta dellAirbus con la scritta «Républic Française» sulla fiancata, le infermiere bulgare che, a terra, abbracciano i familiari e allEliseo Nicolas Sarkozy che si crogiola nella gloria di un trionfo del coraggio e dellimmaginazione, che sigilla il ritorno della Francia alla guida morale dellEuropa e la riconciliazione matrimoniale.
Adesso i fari, però, dovrebbero «cercare» un altro protagonista e unaltra scena: Muammar Gheddafi, magari nella sua mitica tenda nel deserto, che in certi casi gli fa da ombra anche metaforica. E il dittatore libico, infatti, non si mostra troppo. Lassoluzione di una crisi assurda ha prodotto una serie di accordi, quasi tutti benefici, ma altrettanto surreali, in un intrico di prestazioni e controprestazioni, riconoscimenti e scambio di favori in cui farebbe fatica a raccapezzarsi, cè chi teme, perfino la mente astuta di un Talleyrand redivivo. Difficile perfino da riassumere: delle infermiere bulgare che, accanto a un medico palestinese, vanno a cercar di curare lAids in Libia, in un ospedale per bambini. I vaccini si contaminano, centinaia di bambini si infettano. La spiegazione più ovvia è che dei materiali fossero già contaminati, ma un tribunale libico decide invece che è tutta colpa dei sanitari, biechi assassini che avrebbero fatto degli esperimenti alla Mengele. Condanna a morte per tutti, come minimo, sempre confermata in anni e anni di vani ricorsi.
Poi improvvisa la commutazione allergastolo, che si traduce in scarcerazione immediata. Contropartita un milione di dollari a ciascuna delle 460 famiglie colpite: soldi che vengono dalla Libia ma anche dalla Bulgaria, dalla Slovacchia, dalla Croazia e dalla Repubblica Ceca in forma di rinuncia a dei crediti. Si comporta così, naturalmente, anche la Francia, che ci mette dentro diverse decine di milioni. Che sono poi solo linizio di una girandola di accordi commerciali e politici: rilancio degli investimenti petroliferi francesi in Libia, intensificazione delle forniture militari già riprese due anni fa, opportunità per le industrie francesi di partecipare alla costruzione di autostrade, treni, sistemi satellitari. Dietro Parigi, naturalmente, il resto dellEuropa. Unoccasione doro per rilanciare quel dialogo euro-africano che Sarkozy ha promesso fin dalla sera della sua elezione, in un denso ed emotivo saluto alle moltitudini convenute in place de la Concorde.
Ma se torniamo al suo interlocutore, Gheddafi, vediamo che per lui un festoso e fastoso accordo del genere non è una primizia. Il «colonnello» ne è, anzi, un esperto. Di recente ha concluso un affare del genere con gli Stati Uniti e con un presidente come George W. Bush assai più «duro» e sospettoso, continuatore via padre della «dinastia» di quel Reagan che nell86 fece bombardare Tripoli e labitazione di Gheddafi per vendicare un atto terroristico. A una controvendetta fu attribuita, due anni dopo, la strage a bordo di un aereo di linea Pan Am precipitato sulla Scozia con 259 vittime. Il mondo ne accusò Gheddafi, che non smentì ma si rifiutò di collaborare. Lo stallo durò quasi ventanni e poi improvvisamente luomo di Tripoli disse sì: era stato uno dei suoi, un certo Megrahi, ma non per ordine del dittatore ma, essendo un funzionario dello Stato, lo implicava come responsabile. Risultato un risarcimento di quasi tre miliardi alle famiglie delle vittime.
Una «capitolazione»? Neanche per sogno, perché contestualmente la Libia rinunciò a certi suoi progetti di costruzione di «armi di distruzione di massa», quelle che Bush era andato a cercare invano in Irak. Per la Casa Bianca fu una consolazione ben remunerata: fine delle sanzioni a Tripoli e un bel messaggio personale di Bush che chiamava Gheddafi «fratello mio». Questa volta tocca allEuropa, via Francia. Ancora un risarcimento, ancora delle concessioni politiche ed economiche. Business à la Gheddafi. Nello stile delluomo che, avendo fatto esattamente il contrario di Saddam Hussein, lo ha esaltato poi come «un martire e un santo». Che ha fatto causa alla Coca-Cola chiedendo un gigantesco risarcimento perché «la materia prima usata è africana».
Alberto Pasolini Zanelli
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