Pierangelo Maurizio
da Roma
LItalia è un Paese di poeti, navigatori eccetera. E di «disoccupati» agricoli. Dei 900mila dipendenti a tempo determinato delle aziende agricole, circa 700mila ricevono dallInps il sussidio di disoccupazione: un record europeo. E nientaffatto casualmente sono in prevalenza concentrati in quattro regioni del Sud: Campania, Calabria, Puglia e Sicilia. E qui si contempla il primo mistero. Il numero dei «disoccupati» è costante da anni, «tanto - dicono allInps - al Sud le aziende non pagano i contributi previdenziali». Come si spiega? Da questo sistema trae linfa vitale anche la malavita infiltrata nel settore. «Per fare le ispezioni in queste regioni il più delle volte - rivela un ispettore - bisogna far intervenire personale proveniente da altre sedi e avere la scorta di polizia e carabinieri».
Ma questa è solo una faccia del problema. Il paradosso dove crescono i disoccupati ne ha anche unaltra. Dal tesseramento sulla «disoccupazione», con le relative quote trattenute direttamente sul sussidio, le organizzazioni sindacali incamerano quasi 40 milioni di euro lanno, di cui 21 vanno a Cgil, Cisl e Uil.
Combinazione, proprio a queste quattro regioni - ripetiamo: Campania, Calabria, Puglia e Sicilia - è in gran parte destinato il regalo che il governo si appresta a fare agli evasori. Dei 6 miliardi in euro di contributi agricoli non pagati dal '98 al 2005 allInps finiranno 500 milioni, 1.300 milioni resteranno invece alla Unicredit e alla Deutsche Bank che stanno per acquistare i «crediti in sofferenza»; il resto, puff, cancellato. Per lappunto il 65% della morosità è concentrato in queste quattro regioni. «LInps spende di più dove incassa di meno» riassume un dirigente di primo piano dellistituto di previdenza, che vuole rimanere anonimo.
Spieghiamo il meccanismo. Per avere diritto alle prestazioni Inps (disoccupazione, assegno per il nucleo familiare, malattia e maternità) basta che il datore di lavoro, reale o fittizio, dichiari che il dipendente ha lavorato 51 giorni. Ma attenzione: nelle zone dove cè lo stato di calamità naturale di «giornate lavorate» ne bastano 5. Il sussidio di disoccupazione si aggira in media sui circa 3mila euro lordi annui. E ora un dato generale. Solo per pagare le «indennità di disoccupazione ordinaria» e la «disoccupazione speciale» (servono almeno 151 giornate di lavoro ed è pari al 66% del salario medio per 90 giorni) lInps spende ogni anno 2 miliardi di euro, una cifra quasi doppia allintero incasso - presunto, solo presunto - dei contributi da parte delle aziende, che si aggira sul miliardo lanno.
Lanalisi è piuttosto semplice e spietata. «In molti casi è ovvio che per avere il sussidio si contratta lassunzione falsa con aziende e cooperative fittizie, le quali, più dipendenti denunciano, più hanno accesso ai contributi europei». Esagerato? Sarà un caso ma le associazioni di categoria stanno osteggiando il Durc, il Documento di regolarità contributiva, che prevede che da questanno le aziende ottengano i finanziamenti pubblici solo se in regola con il pagamento dei contributi.
E ora veniamo ai sindacati. La domanda di disoccupazione va presentata al patronato, diramazione sindacale, che riscuote per ogni pratica un rimborso dallo speciale fondo del ministero del Lavoro. Al momento della compilazione, allaspirante disoccupato viene detto: «Firma qui». È la delega allInps perché «trattenga» limporto della tessera discrizione a favore del sindacato. Dal tesseramento dei disoccupati la Cgil ricava oltre 8 milioni lanno, la Cisl 7 e la Uil 6 milioni; circa 450mila lUgl, il sindacato «di destra», e 800mila la Cisal. La tessera costa in media 60 euro lanno. Ma lIstituto ha registrato trattenute tra i 110 e i 150 euro a tessera in 55mila casi, per arrivare ai 300 e, seppure in un numero molto limitato, ai mille euro lanno.
Va da sé che cè da chiedersi: che razza di disoccupato è quello che è disposto a versare per una tessera sindacale 300 o 1000 euro prelevati dal sussidio ricevuto dalla Previdenza?
Ma non solo le indennità di disoccupazione fioriscono nei campi del Sud. Prendiamo ad esempio la «maternità» che spetta alle lavoratrici che abbiano maturato le fatidiche 51 «giornate lavorate» (o 5 se cè stata qualche calamità).
pierangelo.maurizio@alice.it
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