Le sue opere sono state esposte in tre mostre personali e in numerose collettive, ma da quando ha 13 anni Alberto Calabrese è completamente cieco. Una passione, quella per larte, che lo accompagna da quando era bambino, anche se come scultore è nato a 23 anni compiuti, quando aveva perso la vista da dieci. Milanese di nascita, residente a Nova e con un impiego a Desio, Calabrese è la riprova di come il talento artistico possa superare ogni ostacolo, compreso quello di non avere mai visto il David di Donatello o la Pietà di Michelangelo. «I miei materiali preferiti - racconta lo scultore 42enne - sono creta, terra refrattaria e gres (una ceramica a pasta compatta, ndr). Una specie di scelta obbligata perché quando modello limpronta che do deve rimanere». Pur avendo seguito alcuni corsi di scultura, Calabrese è in realtà in larga parte autodidatta. «A differenza di chi vede ho una manualità più aderente alla realtà - rivela -, perché il tatto per me è il modo con cui leggo. Il 98% delle sensazioni arriva normalmente dalla vista e così ci si dimentica di avere altri quattro sensi».
Non per niente una delle esperienze più sorprendenti per chi assiste alle mostre di Calabrese è il fatto che le sue opere non sono concepite solo per essere guardate, ma innanzitutto toccate. «La maggior parte degli scultori sono gelosi dei loro lavori - osserva -, mentre io non vivo larte come una forma di possesso. Non cè niente di meglio che toccare, unopera deve essere toccata e letta, ascoltata con il tatto, perché solo così è possibile percepirne la vera profondità, prospettiva e consistenza». Anche se la prima reazione di molti visitatori è quella di restare un po sconcertati. «Di fronte a questa possibilità di solito mi chiedono: Posso veramente?». E il loro imbarazzo li porta il più delle volte a non capire lopera, tanto che quando sono presente li guido personalmente nella comprensione e nellesplorazione della scultura attraverso il tatto».
Il soggetto preferito da Calabrese sono i volti. «Per me la faccia di una persona è lelemento fisico più nascosto - spiega -, perché quando mi accompagnano mi rendo conto se uno è alto o basso, grasso o magro, ma non mi sono mai preso la libertà di toccare il viso degli altri. E dunque i miei Volti sono come un cesellare la parte mancante di un puzzle, o dare un volto al mio inconscio». Unarte che nasce dal «rubare il più che posso dal mio stato di non vedente», facendo del suo handicap un punto di forza. Con unattenzione imprevedibile a quello che gli accade intorno, a partire dallattualità.
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