Gli All Blacks danno all’Italia un’altra ripassata di rugby

All’esordio nel mondiale, azzurri travolti dalla Nuova Zelanda. Undici mete contro due e una partita da cancellare

Gli All Blacks danno all’Italia un’altra ripassata di rugby

da Marsiglia

Venti minuti di black out bastano contro gli All Blacks per chiudere una partita senza neppure aver provato a giocarla. L'Italia esce dal Velodrome di Marsiglia con le ossa rotte. 76-14, 11 mete a 2, 80 minuti che confermano l'abisso tra chi punta al mondiale e chi invece resta a leccarsi le ferite. Alla fine l'unica consolazione è che il nostro mondiale deve ancora cominciare. Berbizier sarà contento di saperlo. Certo che adesso arrivare alla sfida di mercoledì con la Romania, con settanta e passa punti da digerire, mette gli azzurri sotto una luce diversa e con qualche punto interrogativo in più a cui dare una risposta.
Gli All Blacks non si discutono. Restano la superpotenza. Il loro gioco vive di iniziativa, di continuità, di rilanci continui in chiave offensiva. Su questo sistema si è arenato il sogno azzurro. Gioca sullo spazio la squadra di Graham Henry è le basta un minino sostegno in più sul portatore del pallone per fare la differenza. McCaw apre le danze: un "uno-due" da manuale, poi Howlett prima del bis concesso da Sivivatu. Il monologo è a due voci. In difesa gli azzurri lasciano fare. La cerniera difensiva offre qualche maglia larga di troppo e contro i kiwi questo non è ammissibile. L'Italia prova a reagire. Con il pallone tra le mani, l'ottimismo è solo quello della volontà. Non basta per arginare il pessimismo della ragione che contro gli All Blacks è ineluttabile compagno di strada. Ci provano, gli azzurri ma raccolgono poco. La natura del loro gioco del resto è un'altra, impraticabile contro i tuttineri che una parte della sfida l'hanno vinta proprio davanti, tritando sul piano fisico Castrogiovanni e compagnia. Dietro, in difesa, i varchi si aprono ed è sin troppo facile per gli All Blacks, costruire le occasioni da uomo in più chiamando un paio di alternative in sostegno sulle continue progressioni neozelandesi. McCaw è esemplare nel tenere la consegna. Vola sugli spazi lasciati liberi da un'Italia troppo attenta a fare il cane da guardia sui raggruppamenti e poco a placcare dietro. L'effetto è immediato e arriva quando Leon McDonald si apre un'autostrada nel midfield. Sono almeno quaranta metri di corsa, quanto basta per mettere fuori causa la prima guardia azzurra e lanciare Sivivatu verso la meta. Prima di andare al risposo, l'eccessiva fiducia dei neozelandesi, mette un pallone nelle mani di Stanojevic che, dopo Portogallo e Russia, piazza la sua zampata anche contro il mito. Ma la partita è già chiusa. Nella ripresa, la partita non dice più molto. Howlett finalizza ancora un paio di volte, poi Collins segue la scia tracciata da Richie McCaw con Henry che si permette il lusso di mandare in campo la panchina. Tanto non fa differenza. Il risultato c'è tutto. Berbizier parla di "little Italy" e dice di non aver visto la vera Italia. Quella la vedremo contro la Romania, bella forza. Peccato che al massacro ci sia andata una squadra parente stretta della migliore possibile. È una sconfitta che fa male. Che rischia nella testa di togliere molte delle sicurezze che si potevano avere alla vigilia. Negli ultimi minuti, prima Bergamasco, poi Galon vanno in meta. Barnes annulla il sigillo di quest'ultimo. La meta è sacrosanta, ma la moviola fa acqua. Quei sette punti non avrebbero spostato i termini di un problema che aspetta una soluzione già da mercoledì a Marsiglia, quando gli azzurri affronteranno la Romania. Come quattro anni fa, il mondiale azzurro inizierà lì, alla seconda partita.

E a quel punto gli alibi non avranno cittadinanza: la qualificazione ce la giocheremo all'ultimo. Contro la Scozia, a Saint-Etienne, i black-out, meglio che restino fuori. Lasciamo che in campo entri solo l'Italia che sappiamo.

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